 26° Festival di Cinema Francofono in Belgio A Namur, capitale della Vallonia, è in corso il FIFF Proiezioni in anteprima, incontri ed eventi: punto in comune, la lingua francese
di Paola Galgani  Namur. In un paese diviso culturalmente (e non solo) come il Belgio la francofonia testimonia la reale esistenza di una precisa identità; con in mente questo concetto di fierezza venticinque anni fa fu fondato il FIFF, giustamente nella capitale vallona Namur, splendida città universitaria arricchita da una suggestiva cittadella medievale. Un festival unico nel suo genere, perché nei lungometraggi e nei corti prescelti per il concorso che assegna il Bayard d’Or si sente parlare solo francese, che la produzione sia francese, belga, svizzera, canadese, africana o lussemburghese. Un evento che si potrebbe dire glocal, forse bizzarro in un universo in cui si cerca di raggruppare piuttosto che di dividere. Per chi mastica la lingua, comunque, è particolarmente interessante cogliere le sottigliezze linguistiche oltre che di stile delle varie provenienze. Quest’anno il festival è stato particolarmente atteso dopo aver festeggiato il 25° compleanno -con molta pubblicità e grossi investimenti- durante la scorsa edizione. Il pubblico, dunque, è numerosissimo, tanto da far registrare spesso il tutto esaurito nelle varie sale dei cinema che accolgono l’evento e nel grande tendone (a cui qualcuno preferisce comunque le mura in mattone dopo il recente disastro nelle Fiandre). Ma veniamo al concorso: presidente di giuria è l’attore-feticcio dei fratelli Dardenne (parlando di cinema belga, è inevitabile nominarli): Olivier Gourmet, nato proprio a Namur e che ricorderete in Rosetta, Il figlio, Il silenzio di Lorna. Giusto ora è sugli schermi italiani nella commedia Niente da dichiarare, un grande successo da queste parti. Oltre alla competizione nazionale internazionale, che ha il merito di offrire effettivamente sbocchi produttivi (ad esempio Xavier Dolan potè girare la sua seconda opera, Les amours imaginaires, grazie al premio avuto per J’ai tué ma mère), c’è un concorso per cortometraggi, le premiazioni della città di Namur e del pubblico, e persino una giuria di giovanissimi (premio Emile Cantillon per le opere prime, 18-25 anni, e la Giuria junior, 12-13 anni), a testimoniare la solita attenzione verso la gioventù. Una bella idea anche il Fiff campus sul volontariato e l’organizzazione di sessioni speciali per sensibilizzare gli spettatori sul problema dell’handicap visuale, con le proiezioni de Le gamin au vèlo dei Dardenne e Le Petit Nicolas. A coinvolgere maggiormente gli spettatori, molti incontri con gli artisti (una sezione speciale è dedicata ad Ariane Ascaride), mostre, interventi di radio e tv in diretta. Per sottolineare ancora l’impegno sociale si può notare che i film in concorso hanno in comune il fatto di essere ancorati, in un modo o nell’altro, alla società: Et maintenant on va où? della libanese Nadine Labaki (Caramel) racconta la determinazione di un gruppo di donne di ogni religione che per proteggere le proprie famiglie fa prova di grande ingegnosità. In Koundi et le jeudi National di Ariane Astrid Atodji (Camerun) gli abitanti di villaggio camerunense decidono di istituire un “giovedì nazionale” per creare una sorta di cooperativa e non farsi togliere dallo stato il permesso di coltivare cacao. In Marécages di Guy Edoin (Quèbec) sorella e fratello operai dalla vita difficile, dopo un incidente fanno uno strano incontro che renderà le loro vite un’inaspettato road movie. Una coppia strana anche in Mon pire cauchemar della lussemburghese Anne Fontaine, che ci racconta di una deliziosa quanto improbabile intesa tra un’esperta d’arte parigina e un uomo che vive di espedienti e di alcol. Nella competizione Emil Cantillon spicca il film 17 filles di Delphine e Muriel Coulin, di cui la stampa ha già molto discusso, trattando di una storia vera di un gruppo di liceali restate tutte volontariamente incinte nello stesso periodo. Incuriosisce anche il franco-belga JC comme Jèsus Christ di Jonathan Zaccaì: la storia dell’adolescente J.C., Palma d’Oro a Cannes e Cèsar a 16 anni, un melange de Peter Sellers, Jean-Luc Godard che vorrebbe conquistare,oltre che le ragazze e i produttori, il suo diploma di maturità. Segnaliamo infine L’estate di Giacomo di Alessandro Comodin, il cui documentario di fine studi a Bruxelles è già stato premiato a Cannes nella Quinzane des realizateurs. In questa produzione italo-franco-belga ci propone una storia delicata, di un ragazzo sordo sedicenne ed una ragazza sedicenne che si perdono nei boschi per ritrovarsi in un posto paradisiaco, dove sono soli e liberi per un’estate; la sensualità accompagna i loro giochi di ragazzi, finchè della loro avventura non resta che un ricordo dolceamaro del tempo perduto. In attesa delle premiazioni venerdì 7 ottobre, apprezziamo la crescente sensibilità verso il cinema in un paese finora messo secondo piano nella sua identità artistica, soprattutto per la vicinanza della ‘sorella’ Francia; ebbene, le cose stanno decisamente cambiando, come dimostra l’istituzione dei Premi Magritte. Ed anche in vista dell’attesa uscita di Tintin di Spielberg prepariamoci alla belgio-mania, sperando che alle possibilità produttive (che assolutamente non mancano) corrisponda un’originalità creativa ben riconoscibile.
(Giovedì 6 Ottobre 2011)
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