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Il documentarista tedesco Joe Baier omaggia Tiziano Terzani

La mia fine è il mio inizio

Film che affascina più con le parole che con le immagini


di Oriana Maerini


Questo non è un film ma un viaggio spirituale. Lo consiglio non solo a chi conosce l’opera e la vita di Tiziano Terzani ma a tutti quelli che vogliono interrogarsi sul cerchio eternamente incompiuto tra la vita e la morte. E’ degna di lode quindi l’impresa del documentarista tedesco Jo Baier, che ha voluto cimentarsi nella trasposizione cinematografica de "La fine è il mio inizio” l’autobiografia del celebre giornalista, un bestseller da mezzo milione di copie vendute solo in Italia. Il film ha la struttra narrativa di una lunga intervista fra padre e figlio in cui quest’ultimo raccoglie il testimone di una vita passionale, di un impegno umano e di un trascendenza spirituale non comuni. Per questo bisogna accostarsi all’opera di Baier non con un approccio cinematografico ma piuttosto letterario. Più che le immagini (il film ha impianto statico, quasi teatrale) è la parola di Terzani ad affascinare lo spettatore. Un’ora e mezza di confessioni, racconti e riflessioni che valgono più della lettura di decine di libri. Tiziano, egregiamente interpretato da un maturo Bruno Ganz, parte dalla sua infanzia povera, dalla sua voglia di riscatto sociale per spiegare al figlio l’evoluzione delle sue scelte di vita, della sua passione- delusione verso il comunismo cinese, della sua affascinazione per l’India e infine della sua esperienza spirituale in Tibet.



E’ la descrizione di una vita intensa che alla fine anela a rinnegarsi e confondersi con il cosmo intero. La trappola in cui è caduto il regista è, nonostante tutto, l’eccessiva forma didascalica che, a tratti, prende il racconto. Se lo scopo di Baier era quello di omaggiare e “gigantizzare” la figura di Terzani
allora si può dire che c’è riuscito in pieno: la moglie, la figlia e perfino il figlio-cronista sono figure secondarie in un affresco stupendo che ritrae lo scrittore immerso, in splendida armonia con la natura e le montagne toscane, a meditare sul significato della fine dell’esistenza umana. Elio Germano nel ruolo del figlio Folco rientrato dagli States per redigere il libro postumo del padre, pur molto efficace, lavora in sottrazione forse intimidito dalla statura attoriale di Ganz.


giudizio: ***



(Sabato 2 Aprile 2011)


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