 I conti sospesi dell'anima Biutiful Affilato, partecipato, desolante ritratto di emarginati
di Roberto Leggio Alla fine, si arriva a fare i conti con se stessi. Uxbal è un faccendiere di Barcellona. Vive di precariato e manodopera clandestina cinese, con un paio di figli e una moglie sempre in “fuga” (da se stessa e dalle sue responsabilità). Uxbal è malato di cancro e in quel poco che gli resta da vivere, deve mettere tutto a posto, cercando di regolare i conti con se stesso e con gli “altri”, anche se il destino è perennemente contro di lui. Uxbal è l'organismo di una città malata, irriconoscibile, dove la pietà sembra bandita. La vita di Uxbal è un “anello” (come quello regalato nella prima sequenza) di dolore. Uxbal è soprattutto un padre divorato dai sensi di colpa alla disperata ricerca di dignità.

Potente, affilato, partecipato, la nuova opera di Alejandro Gonzales Inarritu è un capolavoro desolante sulla sopravvivenza in un mondo senza più punti di riferimento. Abbandonando (forse per sempre) il puzzle di storie ad incastro dei suoi primi film, il regista messicano questa volta opta per una narrazione lineare così profonda e complessa da lasciare (ancora una volta) il segno. Usa il corpo (straziato in tutti i sensi) di Xavier Bardem per mostrare la società dell'oggi, abbandonata a se stessa, drammaticamente attaccata al lavoro dei clandestini, gialli o neri che siano. La materia ribollente del film, analizza l'emarginazione che (sotto i nostri occhi) scava nei recessi di un mondo in affanno, dove i drammi si sommano ad altri drammi. Perché niente è così Biutiful. Tranne forse la morte che ci libera dal peso dell'anima. La regia è livida, cruda, senza orpelli ed il montaggio (privo di virtuosismi) aiuta ancor di più nell'esporre tutto lo squallore di un'umanità perduta (e perdente), costringendoci a comprenetrare il dolore, assaporandolo e condividerlo nella sua essenza. Un capolavoro unico, così estremo da essere tanto drammatico, quanto commovente.
Giudizio ***1/2

(Giovedì 3 Febbraio 2011)
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