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Il capolavoro di Alejandro Amenàbar

Agorà

Eccellente regia, ariosa e personale


di Samuele Luciano


La piazza è un luogo dalle origini antichissime, un contesto fondamentale per lo scambio culturale. La vera piazza la fanno gli uomini, quando vivono con curiosità e piacere l’incontro con il diverso, quando non ci si misura per primeggiare, ma per imparare. La piazza è ancora importante, addirittura oggi che esiste internet e per questo si direbbe una piazza virtuale, fatta di scontri e incontri e autentica soltanto se al suo interno non c’è la violenza. Perché in quel caso diventa una “piazza pulita”, vuota, silenziosa, morta. Proprio da una piazza sporca invece, gremita dagli esseri umani più assortiti, prende il via il nuovo film di Amenàbar, che stavolta ha scelto di girare un peplum, il genere di De Mille un po’ in disuso da anni. La storia si svolge nel 4° sec. Dopo Cristo nella città di Alessandria e ha come protagonista l’astronoma e filosofa Ipazia, studiosa e custode dei preziosi papiri della più importante biblioteca di quei tempi. Ma Ipazia è principalmente custode della piazza sporca, quella dello scambio evolutivo tra uomini di diverse culture, ed è per questo che nell’aula dove tiene le sue lezioni di geofisica ci sono ebrei, cristiani, pagani e perfino qualche schiavo.



Il film segue le regole classiche dell’intreccio e i legami tra i personaggi sono forti, ma allo stesso tempo (e stando alle parole dello stesso autore), assistiamo a una sorta di documentario su quegli anni di fermento religioso che diedero inizio alla nostra età cristiana. In effetti i cristiani cercarono con tutte le forze e con una buona dose di vessazioni di affermare il proprio credo ad Alessandria, con già il disegno di espandersi e di estendere la loro religione a tutto il mondo. In un certo senso, la visione di Amenàbar, che ha studiato in archivi per 3 anni prima di girare questo film, mostra dei cristiani molto simili agli integralisti islamici di oggi. Una sorta di etnia religiosa che, memore di numerosi soprusi e violenze ricevute, si insuperbisce proprio in ragione della sua resistenza nel tempo e diventa a sua volta diffusore di violenza e distruzione. Per un film comunque questi sono temi difficili da raccontare, il cinema spesso si serve dei personaggi e dell’azione più che di argomentazioni, per trasmettere emozioni più che delle tesi. Per questo viene da chiedersi come abbia fatto il pur talentuoso Amenàbar a trovare i fondi per produrre questa pellicola, che resta un buon film, ma potrebbe lasciare molti spettatori fuori dalla sala. Brava la protagonista Rachel Weisz, che fa il possibile per dare carattere al suo personaggio, e bravi anche gli attori di contorno nel trasmettere la furia cristiana dell’epoca. La cosa che eccelle però rimane la regia, ariosa e personale, con le caratteristiche inquadrature del pianeta visto dallo spazio, come a dire: alla fine tutte queste questioni e guerre religiose, viste dal così lontano si perdono nel silenzio del cosmo. Decisamente non il capolavoro del regista, ma un ottimo documento video per la memoria collettiva.

giudizio: * * * *



(Martedì 20 Aprile 2010)


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