 Eastwood conferma la sua cifra stilistica ma con meno pathos Invictus Grande Morgan Freeman nei panni di Nelson Mandela
di Mirko Lomuscio Dopo averci sbalorditi col bellissimo Gran Torino, il grande Clint Eastwood torna sugli schermi con Invictus, tratto dal libro di John Carlin (intitolato in Italia “Ama il tuo nemico”), che narra una pagina vera della storia del Sud Africa. La storia è ambientata nei primi anni ’90 quando, dopo essere stato eletto presidente, Nelson Mandela (Morgan Freeman) cerca di cancellare l'odio che il ricordo dell’apartheid ha lasciato dietro di sè. Concentra, quindi, tutta la sua attenzione su un mezzo che può consentire di raggiungere tale risultato: vincere il campionato mondiale di rugby. I giocatori della nazionale Sudafricana, sbalorditi della notizia che il nuovo presidente sia il loro tifoso numero uno, ce la metteranno tutta per arrivare al titolo mondiale e sotto la guida del capitano Francois Pienaar (Matt Damon) troveranno la giusta grinta per raggiungere un traguardo talmente ambito.

Invictus riconferma la cifra registica di Eastwood. Ma sarà forse per queste grandi aspettative che a fine visione si ha la sensazione di rimanere insoddisfatti. Perchè l'argomento (la riconcigliazione di un popolo dopo anni di vessazioni) è stato trattato in modo troppo manieristico, nonostante il film eviti il patetismo nei momenti più toccanti. Insomma, Invictus non riesce a toccare le corde emotive allo stesso modo dei recenti film del regista/attore. Il fim però la il pregio di possedere una classe narrativa insolita nel filone delle pellicole sportive realizzate ad Hollywood. Quelli, per intederci, prodotti da Jerry Bruckheimer e si avvicina allo stile di Fuga per la vittoria di John Huston. Di gran classe la presenza di Freeman che, completamente a suo agio e fortemente voluto per questo ruolo (da quanto tempo si parlava di lui nei panni di Mandela per un film da fare uscire al cinema?), sfoggia una bravura da grande attore senza cimentarsi troppo in momenti di vero istrionismo. Non è da meno il calibrato Damon, grintoso e adeguato quanto basta, tanto da meritarsi giustamente una nomination agli Academy Awards come miglior attore non protagonista, mentre Freeman concorrerà come protagonista. Colonna sonora, ad opera di Kyle Eastwood (figlio di Clint) e Michael Stevens, che ricalca non poco le note della storica ‘O sole mio. Non importa quanto sia romanzata questa storia, ma almeno per due ore c’è modo di assistere, con tutta sincerità, ad una pagina storico/sportiva dove ad aver perso innanzitutto è la piaga del razzismo. Questo almeno sullo schermo. giudizio: * *1/2

(Lunedì 1 Marzo 2010)
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