 Remake del capolavoro di George Waggner. Wolfman Del Toro è un licantropo spaventoso e convincente.
di Mirko Lomuscio Il primo uomo lupo fu Lon Chaney jr. in L’uomo lupo del 1941 diretto da George Waggner che caratterizzò un personaggio indimenticabile sotto il trucco del mago Jack Pierce. Ora, a distanza di quasi settant’anni, il licantropo Lawrence Talbot torna sugli schermi con un riadattamento moderno per la regia di Joe Johnston (Jumanji), subentrato in un secondo momento al Mark Romaneck di One hour photo. Stavolta è Benicio Del Toro (premio Oscar per Traffic) che, vestendo i panni di Talbot, ha voluto dare un suo contributo nel panorama horror. Nell’Inghilterra di fine ‘800 una serie di sconvolgenti delitti spaventano gli abitanti del luogo. Tra le foreste della brughiera la gente viene trovata dilaniata da un essere mostruoso che, nelle notti di luna piena, non tarda a farsi vivo. Tra le vittime c’è il fratello dell’attore teatrale Lawrence Talbot che, tornando a casa, cercherà di far luce sulla faccenda dando la caccia alla verità. Purtroppo per lui però ben presto il mostro si farà vivo e lancerà al nostro una maledizione secolare: ferito alla gola ora, durante ogni il plenilunio, Talbot si trasformerà in un licantropo assetato di sangue ed in cerca di vittime. Starà all’amata Gwen (Emily Blunt) fermare la maledizione, prima che il padre di Lawrence (Anthony Hopkins) e l’ispettore Aberline (Hugo Weaving) decidano di volerlo uccidere.

Il compito di riadattare il mitico script di Curt Siodmak è spettato alla coppia Andrew Kevin Walker (Seven) e David Self (Era mio padre) i quali, con senso narrativo dei giorni nostri, riescono a ridurre il tormento del protagonista in una vera agonia studiata anche dagli scienziati del manicomio. Per il resto il regista Johnston arricchisce visivamente Wolfman e lo riempie di immagini gotiche e violente. Quindi troviamo sequenze splatter e sanguinolente con un'infinità di arti recisi a morsi. Il contributo artistico del truccatore Rick Baker fa il resto, trasformando Del Toro in un licantropo spaventoso, molto più vicino a quello incarnato da Oliver Reed nell’indimenticato L’implacabile condanna di Terence Fisher che in quello storico interpretato da Chaney jr. In Wolfman si respira aria di horror d’altri tempi, non fosse per l’utilizzo del digitale in alcune sequenze. Le atmosfere cercano di eguagliare quelle dei classici anni ’30 o ’40 della Universal, ma le ambientazioni di tante produzioni Hammer degli anni ’50 e ’60. Del Toro crede nella parte, tanto da essere anche produttore, ed il suo contributo non è da denigrare (certo Lon Chaney jr. era ben altra cosa) mentre la Blunt (Il diavolo veste Prada) offre un notevole contributo in quanto a fascino femminile. Hopkins è come sempre bravo, soprattutto nel far trapelare una certa ambiguità dal suo personaggio, mentre Hugo Weaving (Matrix), anche se all’altezza, sembrerebbe essere anche un po’ sprecato alla fine. Da segnalare, inoltre, il cammeo di Geraldine Chaplin nei panni di una gitana dedita alla magia nera. Ad ogni modo, questa riedizione di Wolfan non regge il confronto con il capolavoro di Waggner. Il film, però, è un ottimo prodotto di intrattenimento che fa resuscitare in modo egregio un’icona del cinema horror. E poi ci aiuta a dimenticare quell’orrido rifacimento che è Wolf-La belva è fuori, diretto da Mike Nichols ed interpretato da un ridicolo Jack Nicholson. giudizio: * *

(Venerdì 19 Febbraio 2010)
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