 Quando la famiglia ti usa per salvare una vita La custode di mia sorella Nel cast anche Cameron Diaz
di Oriana Maerini Ispirato al romanzo omonimo di Jodi Picoult, La custode di mia sorella è un film che esplora il dolore di una famiglia abituata da anni a convivere con la malattia di bambina affetta da leucemia. Mantenendo inalterata la struttura del libro, a narrare la vicenda in prima persona è l'undicenne Anna, figlia geneticamente controllata concepita dai genitori per salvare la vita con il suo sangue e il suo midollo alla sorella maggiore Kate. Dopo anni di sfruttamento, quando le viene richiesto un rene, Anna decide di fare causa ai genitori. Nick Cassavetes regista che si è dedicato prettamente a un cinema melodrammatico, con film quali Una donna molto speciale o Alpha Dog, ispirato a una storia vera di delinquenza minorile, ci regala ora una pellicola convenzionale che punta più sulla performance degli attori che sulla cifra stilistica.

Con questo film continua, comunque, il suo cammino nell’introspezione dei sentimenti e delle emozioni sezionando ed analizzando, in questo caso, un’intera famiglia. Magistrale risulta la scelta e la direzione degli attori: Cameron Diaz, da sempre relegata a ruoli da biondina romantica e svampita, qui, nella parte di una madre caparbia fino all’eccesso nella decisione di non lasciar morire la figlia, dimostra, con un’interpretazione spettacolare e commovente, di possedere altre potenzialità. Non è da meno la piccola Abigail Breslin, che si è fatta notare con Little Miss Sunshine, nel ruolo di una volitiva ragazzina che sfida i famigliari per rivendicare il proprio diritto all’integrità del suo corpo. Una nota di merito anche per Sofia Vassilieva, attrice di formazione televisiva che incarna in modo equilibrato il non facile ruolo della della sofferente Kate che, grazie all’uso di flashback, narra in prima persona, mentre sfoglia l’album dei ricordi la sua angosciosa storia di malattia, speranze e delusioni. Insomma Cassavetes riesce, attraverso una magistrale direzione degli attori ed una struttura narrativa alleggerita da stratagemmi registici, ad amalgamare una materia così drammatica e delicata senza eccedere nel pietismo. Ma il film rimane, comunque, un prodotto altamente drammatico anche perché mette in risalto problemi etici, morali e psicologici relativi ai temi della sofferenza, della morte e dei delicati equilibri familiari in presenza di un malato cronico. “Appena ho letto il libro – afferma il regista – mi sono commosso e ho pensato soprattutto al raccontare come una famiglia si trova ad affrontare la possibile morte di un figlio. Sull’aspetto etico penso che sia assolutamente soggettivo, non voglio dare giudizi, dipende dal grado di disperazione di chi ne è coinvolto. Ognuno avrà la propria opinione come sull’aborto o sull’eutanasia”.
giudizio: * *

(Venerdì 11 Settembre 2009)
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