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![]() La "triplice recensione" Vuoti a rendere Un film particolarmente stimolante Titolo italiano: Vuoti a rendere
![]() Vuoti a rendere, ovvero l’elogio della leggerezza di Sanro Russo Certi film vengono talmente a proposito in certi momenti, che non si saprebbe dire se sono essi a orientare i pensieri, o i pensieri stessi a far cercare proprio quei film, e non altri. Il problema è quello comune ad una certa età: come affrontare gli anni che passano, gli entusiasmi che si affievoliscono; lo stesso lavoro che è tanto cambiato da non essere più riconoscibile, quale che fosse la passione iniziale. - Me ne vado… Non sono più felice, qui – dice il vecchio professore di liceo (sessantacinquenne), che non ha più pazienza con i suoi studenti e ad uno di essi - proprio insopportabile - spreme una spugna puzzolente sulla testa (!). Ma ora che ha lasciato la scuola, dovrà passare il tempo a sedere su una panchina, o passeggiare nel parco pubblico con vecchi pensionati senza alcuna motivazione? Non Josef, che non si sente per niente pronto alla vita del pensionato, attivo e in buona salute, irriducibile sognatore e irresistibilmente attratto dalle donne, che continua a fantasticare e a corteggiare con discrezione… Così si cimenta in lavori alquanto improbabili per la sua età, come il fattorino di consegne a domicilio (in bicicletta, per le strade gelate di Praga) e poi come commesso in un grande magazzino, addetto allo sportello per la restituzione delle bottiglie (i “vuoti a rendere” del titolo). Il film è quasi fatto in famiglia: il regista è Jan, mentre babbo Sveràk fa il farfallone attempato. Nella finzione filmica la moglie Eliska non è proprio la signora Sveràk, ma ha lavorato in altri loro film, sempre come moglie del protagonista. E per poco non ci si è trovato dentro anche il figlio di Jan. La trilogia inizialmente concepita dagli Sveràk (figlio regista e padre sceneggiatore e attore), comprendeva: Scuola elementare (1991), candidato all’Oscar Kolya (1996), Oscar come miglior film straniero nel ‘97 Tattinek (Papà), avrebbe dovuto chiudere la saga, ma è stato spostato a data da destinarsi dalla lavorazione del film attuale: Vuoti a rendere, appunto.
![]() I vecchi: vuoti a perdere o a rendere? di Pino Moroni Con l’allungamento della vita e l’aumento mondiale del numero degli anziani, anche il cinema ha cominciato ad approfondire di più le tematiche di questo strato di popolazione. In una settimana, infatti, ho visto due film interessanti sull’argomento. Vuoti a rendere film ceco di Jan Sverak (Kolya, 1996) e Gran Torino, saga americana, di Clint Easwood (Changeling, 2008). Senza fare confronti tra i due film, molto diversi, la prima notazione è che i vecchi descritti non sono assolutamente vuoti. Anzi, in ogni società essi vivano, non sono né da perdere né da rendere ma da far ancora vivere per produrre frutti positivi per tutti gli altri. I due vecchi, interpretati da Znedek Sverak e dallo stesso Clint Eastwood, anche con i loro difetti e stranezze, sono produttivi di azioni di cui una società allo sbando come quella moderna ha un estremo bisogno. Nel film di Jan Sverak, la leggerezza, la delicatezza ed i sogni di Josef, professore in pensione, aiutano a risolvere in meglio i problemi umanissimi dei suoi componenti familiari, degli amici e dei clienti di un supermercato in cui il protagonista recupera bottiglie usate. Con il racconto di una vita quotidiana, specchiata nelle abitudini, nella ripetizione di azioni, nelle ripicche familiari, nei giochi di bimbi e nei paesaggi crepuscolari di una città antica come Praga. La positività di un uomo di 65 anni, che oltre voler essere attivo per se stesso (grande insegnamento), vuole dare il suo piccolo contributo ad una società bisognosa di spinte sociali ed umane. Il rapporto con il nipotino e la vecchia invalida, con l’ex genero ed il collega di lavoro, con la signora che cerca gli sconti ed il ragazzo che beve troppo. Figure di una umanità invisibile che cerca consigli ed affetto. Fino ad arrivare al capolavoro finale con il lungo luminoso volo in pallone aerostatico con la moglie. Dieci minuti di panorama naturale di boschi, fiumi e campagne, liberatori ed evocativi. Pieni di bellezza e vitalità come lo spirito, ancora giovane ed altruista, di un vecchio professore.
![]() Vuoti a rendere: la storia non è affatto finita di Piero Nussio Fa piacere incontrare Jan Sverák –regista- e suo padre Zdenek, soggettista e interprete di Vuoti a rendere (2007). E, come ad un vecchio amico, viene da chieder loro «Beh, come va?». In Kolja (1996) Zdenek era in Cecoslovacchia con un bambino che gli parlava solo russo, e la metafora di un’oppressione era evidente. Un gran film, premiato con l’Oscar 1997, ed un grande successo. Poi venne il ’98, crollò il muro di Berlino e, nel giro di pochissimo, la fine di tutto il monolito sovietico e del suo impero. Dieci anni dopo, in Vuoti a rendere, Zdenek è ancora alle prese con un ragazzino, ma per raccontarci come non sia proprio oro tutto quello che riluce nel liberismo occidentale finalmente raggiunto. Un ragazzetto pestifero basta per spiegare -in poche inquadrature- quanto riesca ad essere insopportabile la spocchia e la grossolanità dei nuovi ricchi che comandano ora a Praga, e quanto la situazione sociale possa essere opprimente come lo era il vecchio regime. Ma il personaggio di Zdenek Sverák non è uno da piangere addosso ai propri guai: in Kolja insegnava lingua e comportamento al figlioccio acquisito, e ne otteneva il migliore dei risultati. In Vuoti a rendere rifiuta il lavoro di professore, con cui ha passato tutta una vita, ma anche la noia della pensione. Vuoti a rendere non è “vuoti a perdere”, anzi esattamente il contrario. E non è, tantomeno, «un film per vecchi». Esplicitamente Josef Tkaloun (il personaggio interpretato da Zdenek Sverák) rifiuta di unirsi alle inutili passeggiate che i suoi colleghi pensionati fanno “per sgranchirsi le gambe”, e alla figlia devota osservante cattolica dichiara «Informati: se in Paradiso si può lavorare ci vado, se no non mi interessa…».
(Sabato 4 Aprile 2009) |
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