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DiCaprio e Winslett persi nelle “casette bianche”

La gente sposata?

La strada poco rivoluzionaria dove finiscono i sogni


di Sandro Russo


Con quella faccia un po’ così / quell’espressione un po’ così / che abbiamo noi, che abbiamo visto Due per la strada (Two for the Road, di Stanley Donen,1967)con Audrey Hepburn e Albert Finney a venti anni…
Noi, che abbiamo attraversato la vita con quella storia d’amore e di viaggi nella fantasia, e quel dialogo al ristorante nella testa:
- Chi è quella gente che sta seduta e non si parla mai?
- La gente sposata?
- Esatto!



Sono passati più di quarant’anni e un film come Revolutionary road ci riporta a quelle atmosfere e a ripensare di quali formidabili imprinting certi film siano capaci.
Il romanzo diRichard Yates è anch’esso di quel periodo (fu pubblicato nel 1961) e presto divenne un libro “di culto”, così che la storia di April e Frank si è impressa allo stesso modo nella memoria generazionale, e le immagini del film ci sembrano un deja vu, un deja veçu, dense di echi personali.

La storia è facile da raccontare: la vita, i progetti e la perdizione di una famigliola con due bambini; soprattutto di una coppia - Frank e April Wheeler - che credeva di essere speciale e diversa, nell’America degli anni ’50.


Riguardo al libro, nel 1984 il critico letterario del New Yorker, Anatole Broyard – che non lo aveva troppo amato - pose una questione fondamentale: - «Se ci venga richiesto di cercare intorno o al di là dei personaggi qualche genere di simbolismo, o di prenderli alla lettera. Se ci si aspetta che noi perdoniamo i loro difetti e i loro insuccessi come fa Dio, o se essi vengano offerti come intrinsecamente degni di attenzione senza scusanti. In definitiva, il suo punto di vista (di Yates - ndr) è metafisico o entomologico?».

Nella prefazione alla nuova edizione (2001) del libro, lo scrittore Richard Ford, che invece lo ha amato, riprende la critica di Broyard e afferma «A mio parere, permettendo ad almeno due strategie di rappresentazione della realtà di coesistere, Yates ha dato vita ad un romanzo ancora più notevole; ci ha condotto - attraverso l’arte – vicino ai dettagli tangibili della vita tanto da permetterci di riconoscervi le nostre stesse vite, eppure ci ha mantenuto a una distanza dalla quale possiamo esercitare la nostra facoltà di giudizio e provare sollievo al pensiero che noi non siamo i Wheeler».


Riprendendo nel film, con assoluta fedeltà, la trama del romanzo, il regista Sam Mendes non solo mantiene la struttura e il carattere dei personaggi, ma – si direbbe – anche il duplice punto di vista di cui parlavano Broyard e poi Ford.
Anche nel film, come nel romanzo, la coppia è squilibrata per la preponderante personalità di April. Frank è inadeguato e quasi banale; sempre proteso ad ottenere l’approvazione della moglie di cui subisce la propositività e il carisma. Quel ‘tono’ che lui non possiede e che cerca artatamente di darsi, studiando davanti allo specchio gli effetti di una mascella volitiva e di un’andatura elastica.
Sembra facile, da un romanzo perfetto, trarre un film altrettanto potente. Mendes, insieme allo sceneggiatore Justin Haythe, si mantiene fedele all’essenza del libro, semplificando senza stravolgere, fino anche ad eliminare alcuni sviluppi e delle scene minori, ma con grande attenzione alla fluidità dell’insieme.
D’altra parte il romanzo ha già un andamento cinematografico: forse per il fatto che Yates aveva anche avuto esperienze di sceneggiatore, muove i suoi personaggi e fa nel libro frequenti riferimenti al cinema: “A questo punto, in un film l’avrebbe baciata” “Nei film, quando le donne avevano attacchi del genere, gli uomini le prendevano a schiaffi finché non smettevano” - o anche - “Senza toccarla, cominciò, con la lentezza di un attore cinematografico, a piegarsi verso le sue labbra


Nella sostanza, sia il romanzo che il film trattano temi molto attuali: delle aspettative e delle velleità delle persone, e della fine dei sogni.
Yates doveva conoscerli bene, i sogni, se alla fine degli anni ’60 scriveva i discorsi del senatore Robert Kennedy, in corsa per la presidenza degli Stati Uniti (storia che tutti sappiamo come è tragicamente finita).
Nel piccolo della famiglia dei Wheeler, April e Frank si sentono ‘diversi’; più intelligenti, colti e consapevoli dei loro vicini, e destinati ad una vita non mediocre. Quando però April fallisce la prova come attrice della “Compagnia dell’alloro” - un gruppo teatrale di dilettanti -, non è più possibile far finta che vada tutto bene.
L’episodio, banale in sé, fa da detonatore alla crisi della coppia e dall’acuto malessere. Nella mente di April nasce l’idea di una soluzione possibile: sostituire un piccolo progetto con uno ben più ambizioso, cambiare tutti vita, trasferirsi a Parigi.
April - non Frank – intuisce che la fine dei sogni è una malattia gravissima, che inaridisce e dissecca dentro. Loro due, alla prova di una vita che tende ad appiattirli nella ripetitività quotidiana, su vicini mediocri e grandi bevute del sabato sera, troveranno la forza per venirne fuori. Così trascina Frank nel suo sogno e vivono giorni intensi nell’entusiasmo del cambiamento.
Ma la vita si incaricherà, con piccoli e grandi ostacoli frapposti alla realizzazione del progetto, di ridimensionare i loro desideri.
Assistono e fanno da coro ai turbamenti della coppia, i vicini di casa, i colleghi d’ufficio di Frank, e la famiglia della signora dell’immobiliare che li ha sistemati nella casa in Revolutionary road: la signora Givings, il suo inerte marito e il figlio John. Ques’ultimo, già brillante mente di matematico, non ce l’ha fatta; ha avuto quello che chiameremmo ‘un esaurimento nervoso’ e ora è ospite di una clinica per disturbi mentali da cui ormai si allontana solo per brevi uscite insieme ai genitori.
Le interpretazioni di Kathy Bates (Oscar nel 1991 per Misery non deve morire, di Rob Reiner) e di Michael Shannon (nomination agli Oscar di quest’anno, proprio per la sua interpretazione in questo film) nei ruoli della signora Givings e del figlio John sono – oltre a quelle dei protagonisti Kate Winslet e Leonardo Di Caprio - due ulteriori punti di forza del film di Mendes.


È John, “il pazzo che dice la verità” - che tanto si era appassionato al progetto di cambiamento - a rimanere più deluso dal fallimento; sono i suoi occhi e la sua sensibilità alienata a scoprire che il re è nudo e a smascherare - in una scena memorabile -, l’ipocrisia e l’inerzia di Frank (soprattutto).

Il dramma cova sotto la cenere di esistenze apparentemente tranquille; la breve impennata di orgoglio e la velleità di essere diversi nell’America degli anni ’50 - ma non si fa fatica a sentire la vicenda come universale - verranno ricondotti alla “normalità” da quel che genericamente chiamiamo destino, fatto ai diversi livelli di decisioni individuali, del condizionamento della società, del potere dell’inerzia.

Fine della strada rivoluzionaria e dei sogni. Ma con quanta grazia raccontato.


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Un film di attenzione e rigore morale
Un clima generale molto triste e pensoso, che però la recitazione e la tecnica sanno rendere accurati ed insinuanti, e danno all’opera cinematografica uno spessore nuovo e profondo.



(Lunedì 9 Febbraio 2009)


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