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Un matrimonio all’inglese – Easy virtue

Dell’arte sottile del remake

Da Stefan Elliot ad Alfred Hitchcock, passando per Noël Coward


di Piero Nussio


Ogni opera vive nella sua specificità, e non ne è mai data la possibilità di trasposizione, se non come idea o fonte di ispirazione. La Gioconda non è uguale a nessuna delle sue innumerevoli riproduzioni su carta, un film tratto da un romanzo non è mai –nemmeno lontanamente- paragonabile alla sua forma scritta originaria.

Queste verità, di per sé evidenti, ma sempre confuse nel discorso che se ne fa quotidianamente, mi si sono mostrate in tutta la loro evidenza in un remake nemmeno annunciato, ma scoperto casualmente.

Cominciamo da una prima trasposizione, ossia la traduzione in italiano di un titolo, che ha fatto rischiare di perdere tutti i collegamenti: Easy virtue (virtù facile, fragile virtù) tradotto in italiano con Un matrimonio all’inglese. Questa piccola variazione ha dato al film tutto un altro significato, ed ha fatto perdere a molti –a quasi tutti- l’occasione di accorgersi del “remake”.

Il pittore ritrae la dama


Il film è stato presentato al Roma film festival del 2008 e poi da gennaio è stato distribuito nelle sale, con buon successo. Ma sono poche le voci che hanno segnalato che si trattava di un tema inglese classico, più volte presentato al pubblico.

Perché l’opera si chiama Easy virtue, e come tale è stata scritta nel 1925 –per il teatro- dal commediografo inglese Noël Coward (1899-1973). Commedia in tre atti, realizzata in uno dei momenti di maggiore creatività e successo dell’autore-attore. Tanto che, solo tre anni dopo nel 1928, Alfred Hitchcock fu quasi obbligato a ricavarne uno dei suoi film del periodo britannico.

Ignoro –per non averla mai vista recitata- come si dipani la commedia, ma come un archeologo tenterò di capirlo dal confronto con il resto dell’opera del commediografo e, soprattutto, con le due versioni cinematografiche che ne sono state ricavate. Noël Coward, autore, attore e cantante è infatti il principale responsabile (insieme ad Oscar Wilde e George Bernard Shaw) dell’idea che gli inglesi si sono fatti di se stessi, e di quello che nel resto del mondo si pensa di loro.

La dama, oggi


Le battute taglienti, l’amore e l’odio per la tradizione, il controllo e la rispettabilità sociale, le regole rigide e la trasgressione, la battuta di spirito, sono tutte state raccolte e distillate nelle opere letterarie e teatrali di Shaw-Wilde-Coward.

Noël Coward, in particolare è responsabile per il lato “melò” del cinema inglese, di una serie infinita di titoli cinematografici, che vanno da Cavalcata e Partita a quattro (1933), passando per Gli eroi del mare (1942) e Breve incontro (1945), passando per Spirito allegro (1945) fino a La fidanzata ideale (2000) e Matrimonio all’inglese (2008).
Poi, come compositore, ha caratterizzato con le sue canzoni Un’ottima annata (2006), Le disavventure di Margaret (1998), Nel bel mezzo di un gelido inverno (1995), Crimini e misfatti (1989) fino a risalire ancora al 1933 con Ottocento romantico. Ed è stato attore, per citare solo due titoli in Giro del mondo in 80 giorni (1956) e in Il nostro uomo all’Avana (1959).

Per Easy virtue i temi sono quelli un po’ taglienti del perverso humour britannico, mescolato al melò, alle buone tradizioni, ed al rispetto delle norme vittoriane. Coward, peraltro, che come Oscar Wilde era omosessuale, era terrorizzato dalla paura dello scandalo e dalla disapprovazione sociale. La sua omosessualità non fu rivelata ufficialmente che dopo la sua morte, ed intrattenne per tutta la vita una sorta di strana amicizia affettuosa con Marlene Dietrich, anch’essa per nota per la propria omosessualità.

Seduzione a Montecarlo


Così, difendendo ad ogni costo la sua privacy e a differenza di Oscar Wilde, non patì né il carcere né la disapprovazione, ed anzi ebbe l’onore di essere fatto baronetto, con la presenza della Regina Madre allo scoprimento di un suo busto al Teatro reale.
Un altro teatro londinese perse il nome da lui, e fu eletto alla Società letteraria reale. Ma per più di quarant’anni ha convissuto con l’attore Graham Payn ed ha preferito vivere quasi sempre in Giamaica, vicino e testimone di nozze di Ian Fleming, l’autore dell’Agente 007.

La storia di Easy virtue, alla luce di questi particolari biografici, assume allora tutta un’altra luce. Ricostruiamola allora per sommi capi, a partire dai due film tratti da essa: una dama dell’alta società è coinvolta in un caso di divorzio, che ha portato al suicidio di un pittore di lei innamorato. Ed è accusata di aver incoraggiato la passione di questi, anche perché trascurata dall’anziano marito. Il divorzio è concesso per colpa della “fragile virtù” della moglie, che ha disonorato il consorte.

La donna, in Costa Azzurra, conosce e sposa poi un altro nobile, questa volta più giovane e meno ricco. La famiglia, tradizionalista e all’antica, disapprova la moglie emancipata, e avrebbe anzi preferito che il giovane si fosse sposato una nobilotta le cui terre confinano con le proprie. La donna resiste e tenta di rinnovare i costumi dei parenti acquisiti, ma alla lunga la famiglia riesce ad avere la meglio, specie quando si scopre il turbinoso passato di lei. Questa è così costretta a sopportare un ennesimo divorzio, e stancamente si assume ancora una volta la “colpa” del misfatto.

La Dama e la motocicletta


Alfred Hitchcock, regista di thriller, nel 1928 trae da questo materiale una sorta di giallo, che inizia con la prima causa di divorzio, in un palazzo di giustizia dall’aria espressionista, caratterizzato da ombre nette e alti soffitti a cuspide. La donna, tramite flashback, rivive un marito alcolizzato ed un pittore classicista e lascivo, fra le truci espressioni e le forti sensazioni che caratterizzavano il cinema muto.

La vita in Costa Azzurra diverte invece il Maestro e lo appassiona nella resa cinematografica, con incontri di tennis, gite in automobile fra i paesaggi delle Alpi marittime, cocktail di seduzione, e balconate romantiche fra rami di palme. Un piccolo capolavoro di sottintesi è la domanda di matrimonio che il giovane baronetto rivolge alla signora, tutta resa senza un cartello, ma solo con le espressioni di una centralinista che si appassiona all’ascolto del colloquio.
Tornati in Inghilterra il clima muta e la scenografia espressionista del palazzo nobiliare di campagna è di nuovo cupa, netta e tagliente come lo era stata in tribunale. Il maestro della suspence fa lentamente avvicinare il momento in cui il “terribile segreto” del passato di lei verrà scoperto, con tutte le tristi conseguenze. La chiusura è di nuovo al palazzo di giustizia con la donna di “fragile virtù” ancora una volta dichiarata colpevole che dice ai fotografi mondani in attesa «Sparate le vostre fotografie, oramai sono morta».

La centralinista curiosa


Nessun fotografo, e nessun tribunale –invece- in Matrimonio all’inglese: il pittore è un cubista, o forse lo stesso Pablo Picasso, e la colpa di lei è di aver posato nuda per lui, mentre “correva la cavallina”.
Il primo marito non era nobile, ma solo anziano e malato. Lei l’ha solo aiutato a morire [è cronaca d’attualità, in Italia e non solo], e per questo ha dovuto subire un processo, che l’ha vista alla fine assolta ma accompagnata da uno scandalo mediatico. Il tutto è avvenuto in USA, perché la dama stavolta è americana.

Sembra tutta un’altra storia, ma è rimasta la Costa Azzurra e la tradizionalista famiglia di lui. Il regista di questo remake è Stefan Elliot, australiano autore nel 1994 di quel capolavoro che fu Priscilla, la regina del deserto. Con Alfred Hitchcock e Noël Coward condivide presumibilmente l’omosessualità, ma stavolta il dato non sembra più così importante come lo era nel secolo scorso.
È più importante (e non secondario nello svolgimento della trama) ricostruire la vita ad inizio secolo dei nobilotti di campagna, ancora legati alle tradizioni vittoriane ed alle consuetudini tradizionali da non accorgersi che il mondo stava profondamente cambiando. La stessa floridezza economica comincia a mostrare delle falle, ed allora diviene importante cercare di resistervi unendo i propri possedimenti terrieri a quelli dei vicini con un apposito matrimonio. Peccato che, se veramente il ritratto cubista della dama era davvero di Pablo Picasso, il suo valore economico sarebbe stato ben superiore a quello dei campi e allora sì che tutti avrebbero chiuso un occhio sul soggetto ritratto…

Arrivo all'avita dimora...


Nel Matrimonio all’inglese c’è il rigetto animalista per la caccia alla volpe, le pie dame che fanno beneficenza e lo spettacolo di raccolta di fondi e un un fastidioso cane chihuahua.
Il film di oggi, ovviamente raccoglie tutte le battute caustiche e taglienti di cui Coward aveva seminato la trama, e che Hitchcock non aveva certo potuto utilizzare in un film muto. Lo stesso vale per i toni pastello, i rossi ed i marroni della campagna inglese, anche se il pulito bianco-nero dell’inglese non sfigurava affatto. Poi c’è la musica, eseguita addirittura da un’orchestra riunita per l’occasione e la protagonista (Jessica Biel) che si esibisce in due belle canzoni e in uno scatenato numero di can-can.
Gli attori della versione antica non possono aspirare ad altrettanto, anche se le espressioni della centralinista ( Benita Hume) uguagliano quasi la bravura del cammeo di Colin Firth nel film di oggi.

Le costanti fra le due versioni riguardano il vizio del fumo, peccaminoso ed emancipato nel 1928, retrogrado e pericoloso nel 2008. Ed il comportamento autonomo e sfrontato delle donne, dava fastidio ad inizio secolo, e continua ad essere censurato. E, stranezza fra tante variazioni, rimangono le “lanterne cinesi” per illuminare il gran ballo.

Il vizio della donna emancipata


Per tutto il resto l’archeologo deve arrendersi, perché i frammenti nelle sue mani non combaciano come dovrebbero. Forse, se potesse vedere la versione teatrale dell’opera, potrebbe scoprirvi ulteriori diverse ricchezze e caratteristiche.

Ma in quale messa in scena, e in quale lingua, visto che ogni traduzione e ogni regia ne sarebbe un implicito remake?

Commedia intelligente con uno sguardo d'attualità sui rapporti di coppia
Matrimonio all'inglese
La regia di Elliot è in stato di grazia



(Martedì 3 Febbraio 2009)


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