 La tradizione aborigena dei canti rituali L'Australia dei canti I miti fondativi del continente australiano
di Sandro Russo “Gli Uomini del Tempo Antico percorsero tutto il mondo cantando; cantarono i fiumi e le catene di montagne, le saline e le dune di sabbia. Andarono a caccia, mangiarono, fecero l’amore, danzarono, uccisero: in ogni punto delle loro piste lasciarono una scia di musica. Avvolsero il mondo intero in una rete di canto”
[Da Bruce Chatwin: Le vie dei canti (The songlines) Adelphi,1988]
Diceva il coordinatore di un gruppo di critica particolarmente numeroso cui avevo partecipato, che era contento che fossimo in tanti, perché già pregustava la molteplicità delle voci che i film avrebbero suscitato. Certo, per apprezzare la varietà bisogna essere curiosi e aperti al nuovo, al confronto, alla ‘serendipità’. Ma poi, che ricchezza deriva dalla Visione! Quando ciascuno dispiega il suo particolare modo di ‘vedere’, che tiene conto di una selettiva attenzione, di conoscenze specifiche, in definitiva di tutto il suo vissuto messo in campo per interpretare un’opera.

La "mappa" di Ipolera Herman Ripensavo a quell’esperienza di alcuni anni fa, leggendo la recensione di Piero Nussio su CineBazar che dà del film Australia una chiave di lettura più profonda e informazioni precise; per esempio non se ne avrebbe un quadro completo senza sapere che tutto il cast è australiano nelle sue componenti essenziali, dal regista-sceneggiatore, agli attori, alla scenografa-costumista Catherine Martin, (moglie del regista Baz Luhrmann, e vincitrice di due premi Oscar per Moulin Rouge nel 2001); allo scrittore Richard Flanagan, co-sceneggiatore del film; al musicista David Hirschfelder, due nomination agli Oscar per le musiche di "Shine" (1986) e "Elisabeth" (1998).

Canguri Piero annette “Australia” alla categoria dei film ‘fondatori’, o creatori di un mito. Per capirci, alla stregua dei miti della frontiera americani (come i western di Howard Hawks, ma ancor più ‘alla John Ford’); o anche – cambiando le coordinate geografiche - a quello che è stato ‘Hero’, di Yang Zhi mu per i cinesi.
Pare che i popoli abbiano bisogno di miti fondativi per confermare la loro identità di nazione; e il cinema ha (anche) questa funzione, che nel lontano passato avevano gli aedi e i cantori epigoni di Omero. Noi europei non sentiamo questa necessità in modo così spasmodico per aver avuto l'impero Romano e il Rinascimento, o la Rivoluzione Francese, la saga dei Nibelunghi, o il mito dell’impero coloniale; ma per altri popoli può essere diverso.
Immaginiamo terre come l’America, fatta di immigrati di diversi paesi o – ancor più – l’Australia, terra di deportati ed ex-galeotti. La stessa Cina, che pure aveva avuto un glorioso passato, ha avuto bisogno di recuperarlo, dopo secoli di povertà e di umiliazioni…

Kata Tjuta, tramonto in rosso Senza questo necessario inquadramento il film rischia di essere visto come un fumettone - alla Via col vento, si è detto da più parti - dalla durata spropositata! Mentre è vero che dentro c'è di tutto. Se guardiamo oltre la vicenda sentimentale e perdoniamo alla trama l’eccessivo ricorso al deus-ex-machina - in questo caso l’attacco giapponese del 19 febbraio 1942 sulla baia di Darwin, che (provvidenzialmente) arriva a sciogliere tutti i nodi irrisolti - troviamo, tra le cose migliori, i grandi paesaggi di una terra dagli enormi spazi ancora vergini, il recupero delle culture indigene e citazioni a piene mani dal Bruce Chatwin de “Le vie dei canti”. Un omaggio dovuto, perché le costruzioni teoriche di Chatwin sono affascinanti, anche se spesso gli fa difetto il rigore antropologico: Chatwin era un dilettante di genio.

Painted hills (colline dipinte) La tradizione aborigena dei canti rituali si tramandava come conoscenza iniziatica e segreta. Secondo la congettura di Chatwin, ripresa nel film, erano la rappresentazione dei miti della creazione, ovvero la narrazione degli eventi dell’epoca ancestrale del “dreamtime”, da cui tutto discende; ma anche vere e proprie mappe per orientarsi nel mondo fisico. Così il film – risolta la più banale vicenda sentimentale - si chiude con la riappropriazione delle radici aborigene e magiche della civiltà australiana, nella figura emblematica del bambino Nullah, a chiudere il cerchio dell’abbraccio globale di tutte le componenti di una grande-nuova-antica terra.
(*) – Le immagini sono riprese dalla mostra In Australia sulle tracce di Bruce Chatwin, 20 anni dopo ‘Le vie dei canti’ che si è tenuta a Roma al Palazzo delle Esposizioni dal 26 settembre al 26 ottobre 2008.
(Venerdì 30 Gennaio 2009)
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