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Un alieno mandato a "salvare" il pianeta

Ultimatum alla Terra

Remake di un mito anni '50


di Roberto Leggio


Un disco volante attera in un campo da baseball a pochi metri dalla Casa Bianca. Ne esce un alieno con indosso una tutina attillata e un robottone di metallo. E' la scena iniziale di un mito della Fantascienza anni '50. Forse di tutta la fantascienza che venne poi. Ultimatum alla Terra di Robert Wise, venne realizzato a pochi anni dalla fine della seconda guerra mondiale, quando la paura nucleare aveva posto le basi per la creazione della cortina di ferro. Di conseguenza il film era un grido d'allarme contro tutte le guerre. Anzi lo si può considerare il primo film antimilitarista della storia. Sessanta anni dopo, le due superpotenze sono “virtualmente” amiche, si combattono ovunque piccole e devastanti guerre, la paura del terrorismo è palpabile ed il pianeta terra sta facendo i conti con l'inquinamento atmosferico e biologico. In pratica ci troviamo sull'orlo di un baratro. Con queste premesse era ovvio, nonché allettante, aggiornare il senso di Ultimatum alla Terra toccando i temi più importanti di questi ultimi anni. Il problema che rimettere mano ad un film mitico, come lo fu appunto l'originale, è sempre una corsa ad ostacoli. Anche perché la vita di adesso è più complicata di allora. Detto questo, la nuova versione di Scott Derrickson, segue più o meno le tracce del capostipite, con l'arrivo dell'alieno Klaatu, mandato sulla Terra dalla Corporazione Galattica, con lo scopo di poter parlare con i leader mondiali per avvertire l'umanità di un'imminente crisi globale. Considerato ostile, imprigionato e guardato a vista, l'alieno capisce che non può portare a termine la sua missione, e decide che la razza umana è senza speranza e che deve essere distrutta. L'unica convinta delle sue buone intenzioni è una scienziata che lo aiuterà a fuggire e che cercherà di fargli rinunciare ai suoi propositi distruttivi. Ma forse è già troppo tardi.

A parte la differenza sostanziale della missione “ambientalista”, al confronto di quella militarista dell'originale; della sfera cangiante che sostituisce il datato disco volante, un finale accomodante al contrario di quello più profetico e minaccioso, e lo sfoggio di effetti speciali; l'Ultimatum dei giorni nostri è un film riuscito a metà. Il fatto è che Derrickson vuole parlare di troppe cose senza riuscire ad approfondirne nessuna. Il tema ambientalista è fin troppo poco accennato per essere il tema portante di tutto il film, lo stesso accade con l'accusa allo strapotere “americano” come unica coscienza possibile (militare, diplomatica) dell'intero pianeta. Ne esce un'opera ibrida che non sa bene da che parte andare. Farraginoso ed inutile anche il prologo tra i ghiacci nel 1928, messo lì più a confondere che a dare una spiegazione logica alle future fattezze dell'alieno “salvatore”. Si salva in parte la monolitica interpretazione di Keanu Reeves e quella più dinamica e partecipativa di Jennifer Connely, che portano fino in fondo una regia abbastanza avvincente.

Resterà deluso chi volesse risentire la famosa frase “Klaatu Barada Nikto”. Perché Derrickson, almeno in questo, si rifà al romanzo originale, in quanto Gort (acronimo del robottone a sentinella dell'astronave), fa risorgere il suo padrone all'inizio della storia, rendendo così più credibile la modalità “distruzione”, punto di forza visiva di questo film “alieno”.

Giudizio **

Nel remake di un film mitico è l’emissario venuto a darci una possibilità
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(Giovedì 11 Dicembre 2008)


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