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Pittori quasi ciechi, compositori sordi…

Lezione ventuno

Il circo Baricco continua a stupire


di Sandro Russo


Terza incursione di Baricco o del suo immaginario nel cinema. Le prime due volte per trasposizione da parte di altri registi (La leggenda del pianista sull’oceano, Giuseppe Tornatore, 1998 e Seta, François Girard, 2007).
Questa attuale, da regista, in prima persona: coinvolgente e diretta, in quel suo modo che impegna a schierarsi a favore o contro.


Anomala, questa focalizzazione sull’Autore: come se non ci si potesse mettere davanti all’opera a prescindere da lui, tanto è impregnata del suo modo di pensare e di essere.
Perché il modo di Baricco è mettere in scena delle idee; sia in letteratura che in questo suo primo film; sul tema, stavolta, di “un capolavoro sopravvalutato”, che sarebbe poi la Nona di Beethoven (la Sinfonia n° 9 in re min. Op. 125).


Sempre il nostro prende le mosse da un’anomalia ben reale, da cui parte con un’ipotesi sul possibile.
Nella “lezione n° 11” (in City del 1999), quando ancora il prof. Killroy studiava le superfici curve quale chiave di ‘spiegazione globale’ dell’universo, l’oggetto della sua speculazione era stato il pittore impressionista Monet.
Claude Monet (1840-1926), investigato per aver dipinto ossessivamente quasi solo ninfee per gli ultimi 30 anni della sua vita; per aver tanto lavorato all’ideazione e alla pratica costruzione dello stagno che le avrebbe ospitate, nel suo giardino di Giverny; per averle poi ricreate su dodici enormi tele, rigorosamente dipinte in studio, quindi a distanza dalla loro realtà effettiva.
Qual’era il fine che perseguiva il vecchio artista, cui una malattia agli occhi rendeva indistinte le tonalità di colore? La risposta è fantasiosa e intrigante, ma – appunto – possibile.

Le Nymphèas di Claude Monet, donate dall’artista alla Francia nel 1920. Attualmente disposte nel Museo dell’Orangerie, nei giardini delle Tuileries, a Parigi. Si tratta di dodici grandi tele, lunga ciascuna circa quattro metri


Nella “Lezione 21” l’anomalia è il silenzio creativo di Beethoven (1770 – 1827), l’uomo che a cavallo tra il ‘700 e l’’800 cambiò il modo stesso di intendere la musica e il musicista: non più diletto per ricchi e un servitore alla stregua di altri, ma “la musica”, espressione del sentimento dell’Uomo - nella nuova accezione proposto dal Romanticismo - e un artista chi la creava.
Ebbene, dopo tutta la sua attività come compositore e dopo otto sinfonie, circondato della più grande considerazione tra i suoi contemporanei, Beethoven tacque. Non produsse più nulla di notevole per circa 10 anni. Un’enormità di tempo, nella vita di un uomo che vede i suoi giorni sfumare.
Compone infine un’ultima sinfonia, la Nona per l’appunto, universalmente ricordata per il suo quarto movimento l’Inno alla gioia, per orchestra, solisti e coro, su versi tratti dall’ode omonima “An die freude” di Friedrich Schiller.

Forse la più famosa immagine di Ludwig van Beethoven, all’età di 50 anni, ritratto da Joseph Karl Stieler nel 1820


È su questo tempo sospeso dell’artista e dell’uomo Beethoven che il film si focalizza; un genio che invecchia, nella sua età anagrafica, ma anche in relazione alle mode che lo travolgono. Nel frattempo i suoi contemporanei folleggiano per Rossini; poco dopo balleranno alle musiche trascinanti di Strauss.
L’ipotesi del film è che la Nona sia un tentativo disperato di invertire la tendenza, il colpo di coda di un genio, invecchiato ma pur sempre un genio, ancora capace di mille invenzioni, ma ormai stanco: irrimediabilmente “passato di moda”.
È un altro fascino della storia del film, questa riflessione sulla vecchiaia, fatta dal vecchio prof. Killroy - andato in pensione dopo un’ultima, memorabile “Lezione 21” - sul vecchio Beethoven che, si era illuso, con un fuoco di fila di artifici stilistici, di far tornare indietro il tempo con una sua ultima, mirabolante sinfonia.
Dopo di che, ormai del tutto sordo, deluso e incattivito, perde uno dopo l’altro tutti i suoi amici e il gelo della vecchiaia definitivamente lo avvolge; a quei tempi si era precocemente ‘vecchi’: Beethoven aveva solo 54 anni, all’epoca in cui si rappresentò la Nona sinfonia; morì tre anni dopo.

Lezione ventuno, nelle sale dal 17 ottobre 2008, è il primo film di Baricco come regista


Il film è strutturato su vari piani narrativi, che si intrecciano tra loro senza forzature né stacchi, con l’artificio della storia nella storia:
Primo, la lezione del prof. Mondrian Killroy (John Hurt), che la sua giovane allieva Martha (Leonor Watling), sua ammiratrice, va a scovare anche dopo che è andato in pensione, per farsi (e farci) raccontare la fine della storia.
Poi la vicenda evocata dalle parole del prof. Kilroy, con il mondo nevoso in cui si svolge la gran parte dell’azione; i rapporti tra i vari figuranti della rappresentazione in un improbabile villaggio tra le nevi.
In più c’è la storia raccontata dall’anfitrione del gruppo a beneficio dello spaurito violinista Hans Peters (Noah Taylor), mentre gli delinea una versione alternativa della rappresentazione della Nona e della sua non entusiastica accoglienza presso i contemporanei.
E, per finire, i siparietti degli eunuchi e delle primedonne che evocano Beethoven e il suo tempo

Lezione ventuno. Le scenografie sono di Marta Maffucci, i costumi di Carlo Poggioli su disegni di Tanino Liberatore (visual consultant); direttore della fotografia è Gherardo Gossi


Baricco scrive e mette in scena favole per adulti che non sanno- non vogliono- non possono- più sognare. E questo film è puro Baricco: prendere o lasciare.
Visivamente molto ricco, tra la favola gotica e il divertissement intellettuale, il film è un piacere per gli occhi; senza un attimo di noia anche grazie al ritmo sostenuto dall’intreccio delle storie su piani temporali diversi. Ricchissimo di simboli dalla genesi anche strampalata; i topolini bianchi come orologi da taschino, per esempio. Perché dei topolini? Perché rodono il tempo, si immagina…
Ma soprattutto la neve. Grandi spazi bianchi: potente metafora del vuoto che doveva occupare la mente del vecchio compositore solitario e che si presta anche a fascinosi giochi di luce. E le figurine umane scure, in questo grande bianco, che a qualcuno ricorderanno vecchi film di Anghelopoulos. Come viene in mente Fellini - il ballo di Casanova con la bambola meccanica sul lago ghiacciato - per l’ultima danza del violinista. E ancora Meliès, i primi esperimenti dell’illusione nel cinema, con le sedie vuote/piene degli orchestrali.
In tutto questo, trasportati dalla scrittura, non abbiamo parlato
della musica, che è una componente fondamentale della storia, interna ad essa, perché è della genesi di un capolavoro musicale che si parla. E malgrado lo sforzo del prof. Killroy di demolirla, la Nona ne esce ancora più grandiosa, forse (è l’opinione di Baricco) povera di bellezza, cui il vecchio compositore non aveva più accesso, ma vivificata dal dolore e dal coraggio di un Grande ridiventato Uomo.


Sinergia Fandango e scuola Holden
A scuola di cinema
Una carovana itinerante per insegnare l'educazione cinematografica



(Domenica 26 Ottobre 2008)


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