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Fernanda Moneta analizza l'ultimo film di Spike Lee

Il Miracolo Italiano di Spike Lee

Autrice del "castoro" sul regista afroamericano


di Fernanda Moneta


Atto Primo.

Il 29 settembre, il Warner Village di Piazza Re di Roma ha ospitato l'anteprima dell’ultimo film di Spike Lee, Miracolo a Sant’Anna, alla presenza dell'autore, dello sceneggiatore e scrittore James McBride, degli attori americani e di quelli italiani. Non c'erano invece gli attori tedeschi e nessuno dei giornalisti presenti (la Sala 3 era piena per ¾), ha chiesto perchè. Eppure, ben due dei personaggi tedeschi, sono descritti da Spike Lee come persone gentili, amanti della poesia e credenti, costrette dalla guerra a diventare ciò che altrimenti non sarebbero mai stati. Addirittura, uno di loro darà la propria Lugher a un soldato afroamericano ferito, anziché finirlo. Certo, è pura fantasia: un ufficiale, a maggior ragione nazista, non darebbe mai la propria pistola a un soldato nemico, col rischio che quello la usi subito dopo per farlo fuori.
Ad ogni modo, vorrei sapere il perchè di questa scelta, dato che la Germania è in Europa come l’Italia e Berlino dista da Roma qualche ora di treno e ancor meno d’aereo. Spike Lee non fa niente a caso.
Ad ogni modo, in sala, tra i giornalisti, c’è un clima aggressivo-passivo che non fa presagire nulla di buono.

Il film ha un'introduzione fumettistica (non è una critica: amo i fumetti), con una scena a Piazza del Popolo che fa pensare a un film del genere "Codice Da Vinci", con un John Leguizamo che interpreta un mercante d’arte e vive in una casa arredata con un gusto davvero improbabile, a maggior ragione per essere in Italia, anche per un americano. Credo che il copriletto zebrato di Leguizamo vuol dare l’idea di una persona che commercia in arte senza aver il minimo gusto estetico, volgarotta, pacchiana: molto realista.
C’è un giornale che cade sul tavolino giusto, una tazza di caffè che cade al rallenty, poi, il film passa alla guerra e lì i rimandi visivi e uditivi portano ai film sul Vietnam, da Platoon alla Sottile Linea Rossa, più che ai film con John Wayne. A questo rimpiattino mnemonico contribuisce la fotografia, davvero notevole.
Tipica dell'estetica spikeleeana, la sequenza che culmina nel profilo del soldato che si sovrappone alla montagna.
C’è però una discrepanza di montaggio, notano gli attenti: il soldato, prima ha in testa l'elmetto, in quel primo piano non ce l'ha più e poi lo porta di nuovo. Non è un errore del segretario di edizione: è una scelta estetica che ha a che fare con il modo di intendere il montaggio degli anni 80. Prima viene la forma dell’inquadratura, poi le leggi della logica cinematografica realista.
Se invece c’è una cosa che mi convince poco, nonostante le lodi sperticate fatte dal regista a Carlo Poggioli, responsabile dei costumi, sono piuttosto i maglioncini di Valentina Cervi. Sono in filato sottile (che durante la guerra, in Italia non esisteva, e quando l’attrice se li toglie (vabbè, pure questo, insomma...), mostrano contorni da maglieria Oviesse.
Ci voleva tanto a farli fare ai ferri? Quale contadina avrebbe potuto permettersi maglioncini fatti a macchina, a quei tempi? Non stiamo mica parlando di Claretta Petacci!
Questo modo di lavorare, facendo una ricerca approssimativa, proprio non mi va giù. Non stiamo parlando dei vestiti indossati dalla gente di Atlantide. Ad esempio io ho chiesto a mia madre e lei se lo ricorda benissimo come andava vestita in quei giorni. I fortunati, benestanti, filavano la lana dei materassi in casa e ci facevano maglioni a filati grossi e cappotti. Roba che pungeva dannatamente: altro che maglioncino sexy a pelle!
Oltre alle divise tedesche coi loro fregi, anche gli abiti femminili hanno una storia che va rispettata. A maggior ragione se la sceneggiatura prevede che un’attrice si tolga un improbabile maglioncino davanti all’obiettivo, mostrandone il rovescio. Sarebbe bastata una camicetta di flanella spessa: quella sì che si metteva a pelle.

Nel mucchio non si può non notare un attore-comparsa che ride (?!) scappando sotto il fuoco dei tedeschi, mentre cerca di mettere in salvo due donne. Muore poco dopo: dunque nella situazione da ridere ci sarebbe stato ben poco. Ma anche di questo, non me la sento di dare la colpa a Spike Lee. Certe scene d’azione non si possono girare troppe volte: costano. E una comparsa si spera passi inosservata.
Purtroppo, molti di questi nostri attori che compaiono in parti minori, in effetti non ci fanno fare una bella figura. Non hanno (o hanno pensato di non usare) tecnica d’immedesimazione, sembra che giochino, piuttosto di interpretare. Hanno perso un'occasione.
Peraltro, avrebbero potuto evitare, in conferenza stampa, di fare la solita lagna che inscenano attori poco noti (o senza lavoro) non appena hanno una vetrina, contro i loro colleghi famosi, accusandoli di scarsa professionalità: la sfortuna viene dalla bocca e ci rovina.

Tra i ruoli più rilevanti, anche tenendo conto del fatto che è un film corale, mi spiace dirlo, ma non mi convinta la recitazione di Valentina Cervi (Renata), attrice che pure ho molto amato, anni fa.
Eleonora Brown che interpreta la figlia della Ciociara: quella è la recitazione di una giovane donna che decide di fare sesso con uno sconosciuto in un contesto di guerra.
Il personaggio di Renata è stato interpretato in modo discutibilmente contemporaneo. La sua “caduta” di donna per bene e timorata di dio (“in chieta non si fuma”, dice), non ha grigi, è troppo netta, senza motivazioni.
Poco importa il fatto che abbia un marito in guerra da troppo tempo. Le sorti della guerra erano ancora troppo incerti per cedere con tanta passione e godimento esclusivamente sessuale (si propone ad uno, poi va con un altro: ma sì!) ad un soldato americano. Capisco che Spike Lee ha come abitudine di inserire scene di sesso liberatorio (La Cervi si concede nella stessa posizione della Sciorra in Jungle Fever), però in questo caso, siccome le nostre donne sono state stuprate in massa a fini di guerra da soldati africani, sarei stata più cauta.
Mi ha anche stupita la scelta di quest’attrice: la sua faccia non è quella di una donna dell'epoca. Negli anni 40 la chirurgia plastica c’era? E se sì, metteva in forma la gente con questi canoni estetici?
Faccia e fisico da vero italiano degli anni 40, invece, Sergio Albelli (Rodolfo, il partigiano che collabora coi nazisti) è, con Omar Benson Miller (Train, il gigante di cioccolata), l'attore più credibile del film. A proposito di quest’ultimo, va detto subito che ha l'aspetto luccicante e uno spirito evidente di persona profondamente buona. Spike Lee ha fatto una scelta perfetta, affidandogli la parte di Train.
Recitazione curata fin nei minimi particolari, quella di Albelli (lo ricordate in Carabinieri, nella parte di uomo contrastato, diviso tra due amori, entrambi sinceri?), con una identificazione perfetta nell'inconscio di un personaggio difficile. Ruoli così, in gergo, si definiscono “lisca” perchè non vanno giù o su, restano in gola. Rodolfo tradisce credendo di essere stato tradito, non ha coscienza del dolore che causa perchè ne prova tanto di suo da non poter prescindere da esso. Rodolfo è umano, diviso al suo interno, gioca un gioco più grande di lui e riesce solo a reagire e non ad agire.
Nessuno ha osato rivolgere pubblicamente all’attore Sergio Albelli domande, salvo poi andare a parlargli a tu per tu e sparare a zero dalle pagine dei giornali sul suo personaggio, accusato di essere il primo artefice di questo falso storico. Perchè ufficialmente, non esistono partigiani che hanno collaborato coi tedeschi. Mi domando che fine ha fatto quel partigiano traditore di cui il reduce della resistenza parlò nella conferenza stampa di presentazione del progetto. Nessuno ne ha parlato più.
Comunque, il partigiano Rodolfo più di ogni altro italiano tratteggiato nel Miracolo di Spike Lee rappresenta meglio l'Italia nella complessità che aveva all’epoca e ha, bene o male, anche oggi.
Il nonno di una mia amica, all’epoca, era ricercato dai nazisti perchè ebreo, dai fascisti perchè disertore e dai partigiani perchè fascista. Fate voi.

In America, Roger Ebert del Chicago Sun-Time scrive che il film "Contiene scene brillanti, interrotte da scene che girano a vuoto. C’è troppo, troppi personaggi, troppe sottotrame. Ma ci sono talmente tante cose potenti che dovrebbe essere visto, quali che siano le sue imperfezioni".
Todd McCarthy ha scritto su Variety che «Lee non ha imposto alcuna disciplina alla sceneggiatura del romanziere James McBride, che si trascina di digressione in digressione a detrimento di ogni fuoco drammatico. Oltre le deficienze drammatiche, la definizione dei personaggi non è buona, cosicché nonostante la lunga durata, gli uomini non emergono come individui fortemente delineati».
I film di Spike Lee sono sempre caratterizzati da una scrittura eclettica che non segue pedissequamente lo schema standard americano (quello usato in Gostbusters o The Blues Brothers, per intenderci).
Peraltro questo schema di scrittura non è assoluto e atemporale, ma è stato messo a punto negli anni 80 e oggi è quasi soppiantato da quello digitale, usato ne Il Signore degli anelli, ad esempio, in cui i personaggi non crescono e il film va avanti a livelli, come un videogioco. È tanto diverso da quello standard, lo schema digitale, che non sempre il film scritto così ha una fine.
Le cose cambiano e in questo senso, Lee non ha mai smesso di sperimentare. Senza sperimentazione c'è stallo e banalismo.

È stato chiesto a Spike Lee “che peso ha la pelle nera sulla vittoria di Obama", nessuno in sala si è reso conto che Miller, alto oltre due metri, così grosso "come nessuno ha mai visto", indossava una maglietta xxxl con davanti la faccia gigante di Obama.
Forse, nonostante il fatto che chiamino i neri "afroamericani", certe persone in realtà non sono in grado (e questo sì che è razzismo) di distinguerne i tratti somatici. Malcolm X lo riconoscono dal fatto che, tra tutti i neri che vanno sulle magliette, è l'unico che porta gli occhiali, salvo poi forse confonderlo con Denzel Washington che interpreta Malcolm X. Bob Marley lo distinguono dal fatto che ha una fascia tra i capelli ed è spesso associato ad uno spinello. Ma va là!
Alla domanda su Barak Obama, il gigante buono, Omar Benson Miller si è prodotto in una risata sonora e prolungata. Santa pazienza!
Sereno, nonostante le critiche e gli attacchi da parte di expartigiani, Spike lee indossava due cappelli, uno sull'altro: un cappello da baseball nero e una coppola crema, sopra di esso. (vedi foto) Al collo aveva una croce cristiana in diamanti e oro bianco: quella enorme con i teschi, già vista nella conferenza stampa che annunciava il progetto di miracolo a Sant’Anna, l'ha invece messa per partecipare ieri sera, al TG1. Non è gossip: Spike Lee cura anche queste cose. Sui cappellini con la X di Malcolm X e le tee shirt di Lola Darling (suo film d’esordio) ci ha guadagnato fior di soldi. Se avete occasione di vedere il dvd del suo film 25° ora, tra i contenuti speciali, c’è un corto in cui Spike Lee vende calzini: è il suo manifesto.
Davanti a una platea che non lo ha contraddetto, Spike Lee ha detto che “oggi in Italia sono tutti expartigiani, ma andare sulle montagne a combattere era una cosa dura. Dubito che ci fosse così tanta gente.” Non esattamente in questi termini, ma il concetto era lo stesso, un mio collega del Dams disse la stessa cosa su un autobus di linea, a Bologna, nel 1986: venne preso letteralmente a bastonate da un vecchietto che lo costrinse a scendere e a darsela a gambe. I tempi sono cambiati.

Una scena di "Miracolo a Sant'Anna"



Atto Secondo.

Il 1 Ottobre, Spike Lee presentava il film Miracolo a Sant'Anna alla Feltrinelli di via Appia a Roma. Premetto che ho dei dubbi su quanto il percorso del microfono usato dal pubblico per fare domande non fosse pilotato. In sala c’erano tantissimi poliziotti in borghese, più altre forze dell’ordine, in divisa.
Nessuno dei presenti (a parte me e un’altro critico) avevano visto il film. Così si è assistito al solito circo che perseguita il regista: l'afroitaliano che tira fuori il caso di cronaca che fa pensare al razzismo (ieri è stato detto dagli inquirenti in tv che il ragazzo picchiato forse a Parma è uno che spacciava a minori), l'expartigiano in vena di polemica, la signora che chiede di Obama, Spike Lee che gliela tira (al povero Obama inconsapevole) dicendo che vincerà. La cultura americana è diversa dalla nostra: si vede anche da questo.
Ha fatto il suo show un expartigiano dell'Api che ha scritto un libro sul massacro di S.Anna. Si è lamentato di varie cose, ma soprattutto sembrava gli importase il fatto che Spike Lee non lo avesse voluto come consulente per il film. È riuscito a mostrare il suo libro e l'ha regalato al regista, rubandogli la scena per oltre 10 minuti. Ricordo ancora la misera fine che l'Anpi fece fare a Gangster, film italiano sulle code della restistenza, in cui si vedeva all’azione un gruppo di partigiani che eseguiva fucilazioni sommarie, dopo l’armistizio. Per la cronaca: era una pratica illegale.
Comunque, l’Anpi distrusse il film, facendo quasi fallire il produttore e togliendo al cinema italiano tanti posti di lavoro. Grazie di niente. Immaginate se solo i vincitori potessero scrivere su se stessi. Non avremmo nessun film americano sul Vietnam, ad esempio. Favino ha definito questo atteggiamento dell’Anpi “censura”. Vero. In Italia si può parlare di tutto, nei film di fiction, tranne che di resistenza: perchè? Tra un po’ tutti gli expartigiani saranno morti (per l’età) e non resterà nulla che racconti di loro. L’Anpi se ne rende conto?
Ad ogni modo, mi chiedo perchè James McBride, romanziere che ambienta una sua storia in un contesto storico e geografico preciso, sapendo che è il primo a parlarne in un film, non si sia letto lui, il libro dell'expartigiano, preventivamente ed autonomamente. Magari solo per curiosità.
La Roma di Dan Brown è improbabile, irreale, storicamente tradita, falsata e ricostruita: uno si chiede se lo scrittore ci abbia mai messo piede davvero. Nessuno storico ha preteso però di protestare. Perchè si è capito che Il Codice Da Vinci è un romanzone senza pretese che non siano di intrattenere. Qui invece si tocca la moralità, lo spirito di tre popoli. E andiamo!
Una domanda folle è stata fatta da un ucraino in sala che, non sapendo nulla di chi fosse o non fosse Spike Lee lo ha trattato come uno dei tanti registi Usa che fanno film sulla Seconda Guerra Mondiale o, in effetti, su qualsiasi guerra.
"Ha mai pensato di fare un film che parli della seconda guerra mondiale dal punto di vista dei russi?".
Scusate, ma che domanda è? Fatevelo voi, avrebbe dovuto rispondergli Spike Lee e non lo ha fatto, sbigottito dall'idiozia della questione, fatevelo voi un film dal vostro punto di vista.
"Se avessi una storia, ho bisogno di una storia" ha detto, invece.
Fateveli voi i film su di voi. E anche gli expartigiani, oggi, non potrebbero scrivere e andare in giro a provocare gli altri: c'è il centro destra al governo, non il centro sinistra. E dunque: se potete parlare, nonostante il fatto che al governo c'è gente che la pensa diversamente da voi, lasciate parlare pure gli altri. O solo Leonardo da Vinci può parlare della Gioconda?

Il Castoro di Fernanda Moneta
Spike Lee
Un ritratto affascinante dello ‘Scorsese dei neri’


Un colpo al cuore della resistenza
Miracolo a Sant'Anna
Spike Lee ed il revisionismo storico



(Giovedì 16 Ottobre 2008)


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