 Successo per iil film di Pupi Avati e Silvio Orlando Il papà di Giovanna Gli eroi della vita quotidiana
di Pino Moroni A Pupi Avati non piacciono i massimi sistemi, ma le storie intime familiari. Stavolta si parla di padre e figlia, nell’anno 1938, ma è come se fosse oggi. Perché è una storia di povertà umana ed economica, come è oggi. Cronaca familiare, con un tragico eroe (Silvio Orlando) della vita quotidiana, quella di sempre. Si narra di quando i professori non mangiavano bistecche e le spese di casa (a cominciare dall’affitto) erano pesantissime per i guadagni minimi della gente, e le mogli le sbattevano in faccia ai mariti che non facevano carriera. Forse oggi con il precariato è peggio. Si narra di padri che si preoccupano di figlie sciapine (Alba Rohrwacher) che non trovano ragazzi. E se, con la spinta o l’aiuto dei padri li trovano, vedono poi amiche sfacciate che ci fanno sesso in palestra. Si racconta di delitti come ne avvengono ogni giorno tra i ragazzi di oggi, e se ne creano interminabili casi mediatici. Di licenziamenti in tronco per scandali che turbano il senso borghese. Di vite successive a tali fatti di cronaca piene di rinunce, espedienti, perdite nuziali e familiari.

Ma soprattutto si narra di un grande amore paterno fatto di coraggio che supera tutte le convenzioni sociali e le difficoltà economiche. Di grandi impegni per salvare una figlia dalla condanna di una società solo e sempre punitiva con i deboli di mente. Una società che è fatta anche di solidarietà (forse un po’ interessata). Nella specie di una famiglia, anch’essa disgraziata, di un poliziotto (Ezio Greggio) con la moglie inferma ed una passione nascosta per la vicina di casa (Francesca Neri).
Sovrastano il tutto due figure femminili negative: appunto la madre di Giovanna, troppo bella e piena di sé per riuscire a star vicina alla figlia, tanto nella vita quotidiana che nell’espiazione della colpa. E l’altra, la madre -indurita dal dolore- dell’amica di Giovanna, che a più riprese, comprensibilmente, manifesterà la sua sete di giustizia. Silvio Orlando, premiato a Venezia con la Coppa Volpi per il migliore attore, è diventato un attore ormai maturo per il suo ruolo, molto profondo e drammatico.

Il film, ambientato verso la fine del fascismo, è livido, plumbeo, senza futuro, intimista, claustrofobico, ma senza cadere nel romanzo nazional-popolare del dopoguerra o nelle fiction di oggi. Anche se non è tra i migliori, la mano del maestro Avati è salda e conduce la storia alla fine a produrre un film di ottima qualità.
Avevo avuto l’impressione che a Venezia quest’anno avessero prevalso, nella scelta dei film, le storiacce di cronaca che tutti i programmi televisivi ci propinano quotidianamente. E che ciò fosse stato proprio per compiacere quel pubblico.

Invece, proprio dal film “Il papà di Giovanna”, ho capito che oltre le vuote storie di cronaca che vanno in televisione si possono ancora trovare (anche dalla cronaca) valori che c’erano e ci sono, malgrado tutto. E anche che il minimalismo non è solo un “racconto fatto di niente”, ma ha invece tanto da dire, e di importante, sulle storie e gli eroi della vita quotidiana.
(Martedì 23 Settembre 2008)
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