 Nel film di Aleksandr Sokurov trapela un rimpianto Aleksandra e il disgelo America e Russia, la fine di due “grandi nazioni”
di Pino Moroni Un grande amore per la matriarca russa Aleksandra, simbolo della grande madre Russia nell’ultimo film di Sokurov. Come nei film del ‘disgelo”, a cavallo degli anni ’60, la descrizione della vita giornaliera di un accampamento russo in Cecenia, diventa un atto di accusa contro la stori,a fatta di guerre e di violenze. La Storia, pervasa di pessimismo, di fatalismo e irrazionalità, mentre i singoli si dibattono tra silenzio, dolore e dissoluzione morale, mentre l’unico punto fermo è il passato e chi ancora lo rispetta. Film intimista ed universale che con i film del ‘disgelo’ ha in comune la critica alla guerra ed alla retorica delle guerre, ma a distanza di 50 anni forse rimpiange quella Russia allora criticata ed oggi definitivamente perduta. Alla fine degli anni 50 alcuni autori russi iniziano una forte critica al socialismo reale ed alla violenza di qualsiasi guerra strumentale al regime stalinista. Il cosiddetto ‘disgelo, simboleggiato da un fiume ghiacciato che finalmente si scioglie, annovera nel cinema alcuni titoli importanti. Il Quarantunesimo (1956) di Gregorij Čuchraj; Quando volano le cicogne (1957) di Michail K. Kalatozov; Ballata di un soldato (1959) di Grigorij Čuchraj, L’infanzia di Ivan (1962) di Andrei Tarkovskij, con il quale si chiude questo breve periodo. Il “disgelo” è stata l’apologia dei valori semplici ed umani che la Storia dei grandi eventi ed i regimi opprimono con il trionfalismo militare della “grande nazione”.

L'infanzia di Ivan Oggi nel film di Aleksandr Sokurov trapela un rimpianto del tempo in cui i valori del socialismo reale mantenevano stretti gli affetti, le famiglie e la società. Nella vita attuale, morti viventi senza più speranze né futuro, senza voglia di vivere, attivati solo dalle missioni di guerra o dalla voglia di ribellione, vivono in un precariato perenne. Il tutto visto con gli occhi di una nonna ottuagenaria, che cerca invece con la sua saggezza antica di stimolare i sentimenti e la fratellanza tra i popoli combattendo, da individuo, la povertà e l’odio. Un apologo triste di quello che viviamo nel mondo (con le migliaia di guerre attuali di ‘pacificazione’, e le future create dagli interessi economici e le povertà incombenti). Alexandra si aggira per l’accampamento ed il villaggio vicino, come in un limbo terrestre fatto di teloni, terriccio, palizzate e cancelli, strade bucate e rovine di palazzi. Ma sopratutto ferraglia di autoblindo, carriarmati, bazooka, cannoni, fucili ed altri strumenti di guerra. Ma anche fame di cibo vero, ricerca di the bevibili, contrabbando di sigarette e di dolci. Su tutto una grande rassegnazione da tutte le parti, in quella guerra cecena che non convince nessuno ma che, senza la buona volontà umana, può diventare un gioco di massacro. Come tutte le altre guerre del mondo.

Aleksandra Vedendo il film di Sokurov un parallelo che viene alla mente, è che anche gli americani hanno iniziato un loro discorso sul nuovo ‘disgelo’. Clint Eastwood con Flags of our fathers (2007), con sceneggiatura di Paul Haggis, aveva già cominciato a demolire l’ipocrisia della bandiera e della “grande nazione”, funzionale a raccogliere soldi per le guerre, passando sopra la dignità dei soldati, della gente. Un altro film di Paul Haggis del 2007, Nella valle di Elah, narra di un altro accampamento militare, stavolta di reduci dall’Iraq. Non ci sono più i reduci eroi del Vietnam, ma anche lì ritorna la depressione, la violenza e la sfiducia nelle istituzioni che mandano a combattere. Finisce con la bandiera americana issata al contrario per indicare la fine di un simbolo.

Flags of our fathers La fine di due “grandi nazioni”? Per il film russo la salvezza sembra arrivare dalla saggezza della vecchia Aleksandra con ancora i valori antichi della salda matriarca. Per il film americano la soluzione viene dal buon senso del vecchio sceriffo che racconta di quando gli sceriffi non avevano bisogno di portare le pistole e la frontiera aveva le porte aperte. Ma queste soluzioni sono quanto di più sbagliato si possa suggerire, sono ancora i due sogni russo ed americano del socialismo reale e della frontiera: la cinica Storia stritola tutto. E non è possibile poi raccogliere e riappiccicare i cocci rotti del passato per creare un nuovo avvenire. Non si possono applicare le filosofie dei corsi e ricorsi storici, o la favola dell’ascesa e declino di Roma e l’arrivo dei barbari. Non può tornare il ‘disgelo’ o il “new deal”. Rifugiarsi nel “dejà vu” è sintomo di cecità mentale.

Nella valle di Elah Il mondo è ormai cambiato ed il futuro è già tutta un’altra cosa, anche se l’uomo del terzo millennio lo vorrebbe far coesistere con i suoi ricordi e farlo ritornare ad essere, come quel passato che è durato altri millenni. Ma questa è solo nostalgia.
(Domenica 3 Agosto 2008)
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