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 Una regista danese per un film prodotto da Spielberg Noi due sconosciuti Un film di attenzione e rigore morale
di Piero Nussio Forse esagero. Non ditemi che sto diventando maniaco con l’idea del “Richiamo all’ordine”, ma credo di aver individuato un terzo anello della collana dopo Juno e Once. Si tratta di Noi due sconosciuti, pessimo ed insensato titolo italiano per “Things We Lost in the Fire” (Le cose che abbiamo perso nell’incendio), molto più significativo.
Un piccolo film, diretto da una regista danese (Susanne Bier), forse in odore di “dogma”. Però un film prodotto dalla “Dreamworks” di Steven Spielberg e dalla “Neal Street” di Sam Mendes (il regista inglese di Jarhead e di American beauty). E, soprattutto, un film che si avvale dell’interpretazione di due grandissimi attori. La prima è Halle Berry, bellissima mulatta che si era finora dedicata ad opere molto meno impegnative (Catwoman, 007 – La morte può attendere, la serie X men, …), che ne sottolineavano soprattutto la bellezza e le capacità atletiche. L’altro è Benicio del Toro, il portoricano che da anni rappresenta la bellezza latina. Ha iniziato con le particine in Miami vice, poi anche lui è passato con un Bond (Agente 007, vendetta privata, ma la sua carriera ha decisamente virato verso l’alto a partire da I soliti sospetti (1995), con in sequela Snatch – lo strappo (2000), 21 grammi (2003) e Che Guevara (2008).

Ma il film di cui, per entrambi gli attori, si parlerà come tappa fondamentale nella loro carriera interpretativa, è proprio questo strano –e poco pubblicizzato- “Noi due sconosciuti”. Un film con troppi padri e nazionalità per appartenere a qualcuno: regista danese, produzione USA e inglese, sceneggiatore ebreo, girato in Canada a Vancouver (ma ambientato al di là del confine a Seattle) da un portoricano e da un’americana di colore. Film di attori, comunque, di recitazione, di circostanze e di sceneggiatura accorta. Oltre i due protagonisti, il terzo interprete principale del film è Tom Stern, direttore della fotografia –proveniente, tramite Sam Mendes,dal cast di “American beauty”-. La sua tecnica di ripresa, l’insistenza sui particolari, l’attenzione agli sguardi e alle espressioni, la mobilità dell’occhio cinematografico, ne fanno il terzo interprete di valore in un film in cui tutta la forza espressiva sta nelle immense capacità di recitazione degli attori.
C’è una scena con un particolare di una bevanda ripresa in primissimo piano che mi ha immediatamente riportato alla mente un’analoga scena con la lenta immersione di una zolletta di zucchero in un caffè: era Film blu dell’indimenticato regista franco-polacco Krzysztof Kieslowski (1993). Lì era la bellissima e dolente Juliette Binoche a sorseggiare il caffè mentre era oppressa dalla perdita del marito in un incidente d’auto. Qui Halle Berry, altrettanto bella e dolente, ha perso il marito in un incidente “urbano”, ucciso da un teppista. Pur fra tante diversità, è il clima e la forza di “Film blu” che esce anche da “Le cose che abbiamo perso nell’incendio”, in entrambe le opere c’è un “incendio” che vena di tristezza tutto il panorama della storia narrata, ma entrambe ci spingono ad “accettare il buono che c’è”, sotto forma del Concerto per l’Europa, o più semplicemente del ricominciare a vivere e a darsi da fare.

I personaggi di “Le cose che abbiamo perso nell’incendio”, anche quelli secondari, sono tutti in un periodo di grave lutto. Un “incendio”, una devastazione li ha percorsi e percossi. Audrey Burke (Halle Berry) ed i suoi figlioli hanno perso il marito ed un padre nella maniera più inaspettata e inspiegabile che ci si possa immaginare, e quindi vacillano sotto i colpi del fato. Jerry Sunborne (Benicio del Toro) ha vacillato da tempo, quando di droga in droga si è andato a cacciare nel buco nero dell’eroina. Lui –ed i suoi compagni dei Drogati Anonimi- sanno che nemmeno dopo anni che resisti e sei “pulito” puoi considerarti al riparo e fuori dal tunnel. È tutta una società che tenta di anestetizzarsi con il consumismo e il jogging, ma che sa di avere imboccato una strada senza uscita. Se ne potrebbe anche vedere una valenza politica, con gli Stati Uniti rintronati dopo il terrorismo, le guerre, Saddam, i mutui sub-prime e i casi Enron, che tentano di riprendersi con un Obama color cioccolato come Halle Berry.
Ma, a mio parere, la via tracciata da questo film per riprendersi dai lutti e dalle “cose perse nell’incendio” è una via di ricostruzione morale (attenzione, non moralistica) che forse si sintetizza nella parola chiave del film: “Accept the good” (Accetta il buono che c’è).
Ed in questo “imperativo morale” che trovo lo stesso genere di richiamo all’ordine che caratterizza Juno e Once. Qui addirittura si sfiora il record della provocazione quando –in circostanze più che significative- Halle Berry chiede a Benicio del Toro di andare a letto con lei. Gli spettatori, come i due protagonisti, sanno che si tratta di riuscire a dormire, e che qualsiasi implicazione sessuale o sentimentale è rigorosamente bandita.

È questo rigore morale, forse lo stesso del “Dogma” di Lars von Trier, ma più ampio e significativo, che permea tutto il film. Jerry Sunborne (Benicio del Toro) può anche essere un eroinomane in fase di recupero (con gli occhi particolarmente vuoti e acquosi), ma si comporta con i figli di lei come e più che se fossero i suoi, con una cura ed un’attenzione che quasi stonano sul suo personaggio. Le stesse figure di contorno sono granitiche nella loro coerenza: il quasi comico personaggio di Howard Glassman (John Carroll Lynch) con una moglie che gli fa costruire piscine, che si fa “arredare casa dal figlio di Saddam Hussein”, e gli vieta di fumare, se ne torna mogio al focolare famigliare perché “così sta scritto”. L’eroinomane in recupero Kelly (Alison Lohman) ha una cura ed un’attenzione per i dettagli che sembrano quasi esagerati, e parla per sé e per gli altri de “l’uomo della mia vita” come un’educanda delle Orsoline.
In sintesi, un bellissimo film in cui gli snodi del racconto (abbastanza consueti) sono trattati con una cura ed un’accortezza fuori del comune, che li rendono nuovi e interessanti, senza che acquistino una rilevanza esagerata o fastidiosa. Un clima generale molto triste e pensoso, che però la recitazione e la tecnica cinematografica sanno rendere accurati ed insinuanti. Soprattutto, una forte tensione morale e una rilevanza all’attenzione e alle conseguenze che danno all’opera cinematografica uno spessore nuovo e profondo. Pensando a Benicio del Toro interprete di un ruolo simile –ma opposto- in Paura e delirio a Las Vegas (1998), viene da credere che quello sia stato il culmine di un certo modo di affrontare e “vedere” la realtà, e che Noi due sconosciuti (2007) sia un punto fermo di un modo totalmente diverso di percepire e "sentire" il mondo.

(Mercoledì 25 Giugno 2008)
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