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 Un anomalo musical irlandese Once Lento ma inesorabile successo di un piccolo film sui sentimenti
di Piero Nussio "Il tempo passa e l'uom non se ne avvede", diceva Dante ed anche un intermezzo di pubblicità nella televisione di mazzo secolo orsono. Ma davvero il tempo passa e tante cose cambiano più velocemente di quanto ci si potesse aspettare: era appena arrivata la liberazione sessuale e la libertà dei costumi, che già il pendolo ha fatto tutto il giro e mi trovo a riscontrare una netta inversione di tendenza.
Vi ricordate Hair, col suo messaggio di musica e libertà? Vi ricordate Jack Nicholson con Peter Fonda sulla motocicletta di Easy rider? Vi ricordate Woodstock, tre giorni di pace, amore e musica? Beh, sempre con film altrettanto freschi, con idee nuove interpretate da ragazzi, con il predominio della musica, ed anche di un certo anticonformismo, è iniziato il ”richiamo all’ordine”.
Stavolta però, a differenza del movimento artistico degli anni ’30 che decretò la fine delle sperimentazioni rivoluzionarie di inizio secolo, il movimento è meno intellettuale ed ancora più universale. Soprattutto non è assolutamente conservatore, ma –in qualche oscura maniera- addirittura rivoluzionario e sovversivo.

La grande novità è proprio questa, se non prendo un abbaglio: il contenuto più nuovo e anticonvenzionale, nei rapporti umani, è riscoprire la fedeltà, il valore del rapporto di coppia, forse addirittura il mito romantico dell’ “amore eterno”. Non scherzo. Aveva cominciato Juno McGuff, la ragazzina incinta di sedici anni che chiedeva al padre «Secondo te, è possibile che due persone stiano bene insieme per sempre, o almeno per un po’ di anni?» e che si arrabbiava con i due genitori adottivi del suo “fagiolo” perché entravano in crisi e si lasciavano. Anzi, se vi ricordate, il film Juno finiva proprio con lei che prendeva la decisione di lasciare il figlio alla madre adottiva Vanessa proprio perché la giovane donna aveva dimostrato un’attitudine alla famiglia che mancava del tutto al suo velleitario (e “giovanilistico”) marito.
Ora arriva, a rincarare la dose, un film irlandese, di qualche tempo fa: Once, diretto da John Carney nel 2006 e distribuito in Italia solo quest’anno, grazie a Nanni Moretti. È un piccolo film, girato in soli 17 giorni, interpretato da due musicisti, che probabilmente non torneranno più ad interpretare altre pellicole, anche perché entrambi attivi nel mondo musicale, Ma è anche un film che ha vinto il Sundance festival, altri quattordici premi in giro per il mondo, e un Oscar. Soprattutto, di soppiatto come in Italia, si sta facendo largo in tutto il mondo e sta guadagnando consensi in Finlandia, Spagna, Israele, Australia, USA, Estonia, Germania, Giappone...

Soprattutto (consentitemi di parteggiare per i grandi critici cinematografici), il critico dell’Herald Tribune Michael Phillips lo considera il miglior film del 2007 ed il grande Roger Ebert lo mette solo dietro a Juno. Anche in Italia Roberto Nipoti (La Repubblica) e Maurizio Porro (Corriere) lo giudicano bene, ma si lasciano sfuggire il contenuto “rivoluzionario”, e si limitano ad apprezzarne la “garbata fattura”.
No, “Once”, a cominciare dal titolo, non è solo una storia d’amore “delicata e semplice”. Once significa “una volta” o anche, secondo il contesto, “una sola volta”. La storia d’amore delicata e semplice che si svolge fra il chitarrista (il cantautore irlandese Glen Hansard) e la pianista (la cantante e compositrice ceka Markéta Irglová), e da ad entrambi la spinta per una carriera di musica. Ma entrambi i protagonisti hanno, nel film, una storia d’amore interrotta, cui dedicano più pensieri e canzoni di quanto vorrebbero far credere.

Al momento, però, entrambi sono sentimentalmente liberi. Così il ragazzo, in una delle prime sere del loro incontro, chiede alla ragazza di rimanere con lui la notte. Sarebbe normale, quasi troppo scontato per dovercisi anche soffermare. Ma non è affatto così: la ragazza rifiuta e si offende. In seguito, in altre scene del film, la ragazza si lascia sfuggire un “No, amo te” in ceko quando lui le chiede se ami il marito lontano e separato. Ed ammette che sarebbe probabilmente bello far l’amore con lui… Glielo promette, addirittura. Ma non mantiene l’appuntamento.
Tutto questo non è la vicenda principale del film, che narra del chitarrista che suona nelle strade del centro di Dublino e ripara aspirapolvere nel negozio del padre. Racconta di lei che vende fiori nelle stesse strade eleganti, e che fa le pulizie nelle case per mantenere sua madre e una figlia avuta in un matrimonio fallito. Intanto ama la musica, e va a suonare –all’ora di pranzo- in un negozio di strumenti musicali.

La materia del film sono le sue canzoni, che raccontano i sentimenti dei due ragazzi, e la loro voglia di esprimersi ed avere successo. Ma le vicende sentimentali non ci sono per caso –e nemmeno perché un po’ ricordano quelle dei protagonisti-, il film ne è carico ed è il messaggio che veicola più forte e netto.
“Quante volte puoi trovare la persona giusta?” “Once”, una sola volta: il chitarrista tornerà dal suo amore londinese (un po’ fedifrago, forse, ma è quello che deve essere). La pianista, addirittura, farà giungere a Dublino il suo grigio marito ceko, e le coppie “originali” saranno ricomposte. Notate bene, non c’è niente di “teo-con” in questo insistito richiamo all’ordine. E l’ambientazione irlandese mette ancor più in risalto l’assenza assoluta delle regole religiose. L’Irlanda cattolica e bacchettona semplicemente non esiste nel panorama del film, così come l’assennatezza di Juno non aveva alcuna motivazione di chiesa. La moto che usano i due protagonisti è un Triumph, dello stesso modello di quella usata da Marlon Brando ne Il selvaggio. Il clima del film è scanzonato e trasgressivo, come poteva esserlo in “Hair” o in “Woodstock”. Anzi, c’è un personaggio che fa da legame fra questi due lontanissimi film. Bob Dylan a Woodstock ebbe nel 1966 il famoso incidente di moto, e forse la cosa fu all’origine del famoso festival. Oggi, a sessant’anni di distanza, il vecchio menestrello è uno dei più accaniti sostenitori di “Once” (l’altro è Steven Spielberg), e ha voluto i due cantautori per aprire i suoi concerti e per cantare la colonna sonora di Io non sono qui, il film sulla sua vita che Todd Haynes ha realizzato lo scorso anno.

Le canzoni, il supporto di Bob Dylan e Steven Spielberg, l’aria fresca e spigliata, non permettono di classificare “Once” (come nemmeno “Juno”) tra le vecchie robacce risuscitate da qualche retrogrado. Anzi, se ben capisco, datati e retrogradi sono oggi i film della “liberazione sessuale”. Sembra proprio che buona parte del mondo stia chiedendo di “investire un po’ di più in sentimenti” e di “farseli durare”. Potrebbe essere una risposta al cinismo imperante, alla globalizzazione selvaggia, al liberismo scatenato. Oppure, potrebbe essere un mio abbaglio, basato su troppo poche opere per scoprirci una tendenza. Il tempo lo dirà, se “l’uom se ne avvede”.
(Mercoledì 11 Giugno 2008)
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