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La “soggettiva” della catastrofe

Cloverfield

Fantascienza innovativa che forse farà storia


di Roberto Leggio


Alla fine tanta attesa paga. Cloverfield, fantascienza del terzo millennio, mantiene le aspettative, facendo da ago della bilancia per il cinema prossimo venturo. Tutto inizia con una festa a sorpresa. La gente si diverte, la musica “sparata” a palla, con i personaggi che prendono corpo. Poi però la luce se ne va. Ci sono dei boati che fanno tremare il palazzo, ci sono delle esplosioni, la città è incendiata, la testa della Statua della Libertà vola via. Cosa è accaduto? Semplice: New York è sotto attacco. Ma non siamo nei paraggi dell'undici Settembre e non si tratta di terrorismo. La città è colpita a morte da qualcosa di gigantesco, inumano, inimmaginabile. Prologo e Storia sono tutte qua. Poi ci sono le vicende di un gruppo di ragazzi, che vivono in diretta e senza filtri, il loro “orrore” personale. E quanto basta.



Cloverfield è fantascienza e va bene. C'è il mostro che semina morte e distruzione. E va ancora bene. Ma è il modo in cui tutto questo è raccontato ad essere diverso. Macchina a spalla, (per l'esattezza una telecamera digitale tenuta in mano da uno dei protagonisti), sempre in soggettiva, tesa più a riprendere l'effetto che la causa, seguendo minuto per minuto la catastrofe come se si trattasse di una non-fiction. La scelta è radicale, asciutta, senza tempi morti, con un ritmo al cardiopalma. Anche perchè l'immedesimazione è totale, nonché davvero straniante. Dietro all'operazione ci sono quelli di Lost (ogni riferimento alla serie televisiva non è infatti casuale), quindi fin dalla sua gestazione e gestione marketing, la vicenda ha preso una strada “insolita” per un film di genere. J.J. Abrams, come produttore esecutivo, e Matt Reeves (il vero regista del film), hanno fatto rimbalzare a sprazzi le notizie del film su internet, creando un mistero molto più intrigante della pellicola stessa. Un po' come accadde con The Blair Witch Project, capostipide di un cinema diverso e “soggettivo”. Cloverfield, non fa mistero di essere debitore di quella pellicola, ma si inserisce di prepotenza in quel genere spesso schiavo degli effetti speciali. Qui invece gioca a ribasso: le immagini in “diretta” si divertono con il pubblico, celano i mostri nell'oscurità, lasciando tutto alla fantasia e all'immaginazione. Con risultati sorprendenti. Una vera chicca per quello stuolo di filmmaker che sognano da anni di dirigere un film di genere dal suo interno, senza l'eccessivo utilizzo di orpelli virtuali. Un primo passo verso l'innovazione, e se altri ne seguiranno si parlerà di storia...

Giudizio ***



(Mercoledì 30 Gennaio 2008)


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