 12° festival internazionale del cinema di animazione I Castelli animati A Roma fino al 2 dicembre
di Raffaele Rivieccio  Il modo migliore per valutare la varietà, l’interesse e la ricchezza culturale ed artistica di un Festival, non è quello di studiarsi il programma e di seguire le proiezioni e gli eventi più intriganti. In questo caso l’effetto positivo sullo spettatore o sul giornalista sarebbe abbastanza scontato. Quanto piuttosto capitare in modo casuale, piombarci a caso, oppure fare brevi e frequenti incursioni che permettano di sondare, di esperire il livello espresso “in sezione” dalla manifestazione. Non solo cosa accade nella sala principale la sera, ma anche cosa viene proiettato nella sala minore alle tre del pomeriggio. Se, anche in quel caso, il Festival supererà l’esame, allora si può iniziare a parlare di qualcosa che esiste realmente, di una programmazione che ha radici storiche e una capillarità nazionale ed internazionale seria. Di un Festival che evita al massimo lo shopping del materiale già selezionato in altre rassegne. La qualità è garantita ma non sarà mai possibile la promozione di un talento inedito, la scoperta e la valorizzazione di qualcosa di nuovo. Con “I castelli animati” andavo sul sicuro. Già spettatore l’anno scorso del Festival, mi aveva colpito la programmazione integralista, senza soluzione di continuità, massiccia, dalla mattina alle 10 fino ad oltre mezzanotte. E, mi è parso, senza ripetizioni. Se da una parte, diveniva praticamente impossibile seguire tutte le proiezioni, a meno di non vivere quasi una settimana chiusi dentro una sala; d’altra parte, una simile offensiva quantitativa, garantiva la forza del lavoro del Direttore Artistico Luca Raffaelli e del suo staff. Avendo conoscenza approfondita del cinema di animazione, è possibile ideare e costruire workshop, tavole rotonde, incontri con i protagonisti del settore – cosa che I Castelli Animati ha fatto coerentemente – ma è solo con una ricerca incessante ed un lavorìo diffuso che è possibile raccogliere e assemblare una programmazione di alta qualità durante cinque giornate. Ed è l’incontro casuale, l’evento eccezionale che ti fanno avere una particolare impressione, un ricordo preciso di un Festival. Mentre, tra un film e l’altro, ero a chiacchierare nello spazio ricezione della caffetteria, è arrivato David Silverman – uno dei demiurghi de I Simpson ed ospite de i C.A. – con uno strumento musicale che credo fosse un trombone. Con lui anche Piero Montanari ed insieme hanno improvvisato una jam session di swing con Vito Lo Russo, musicista e collaboratore del mitico programma Supergulp! , il tutto sotto gli occhi divertiti di Guido De Maria, autore pubblicitario e soprattutto del detto programma per ragazzi, di Bruno Bozzetto – autore della sigla di questa edizione del Festival e “senatore” tra gli animatori italiani – e di Oscar Grillo, genio del disegno e autore di una bellissima mostra grafica del Festival sulle avventure di un Franz Kafka fantastico, quasi un ancor più bizzarro Don Chisciotte, in dimensioni grottesche. Questo era parte del prestigioso perterre de i C.A. che non si ergeva su un piedistallo o camminava su un red carpet come nei più bolsi stereotipi del divismo, ma dava vita ad atmosfere genuine, improvvisate e ben più preziose in un clima da Dolce Vita Animata. Spero in un ritorno della manifestazione nella sua sede storica e naturale, quella di Genzano, ai Castelli Romani. L’attuale ubicazione nel Cinecittà Campus, all’interno di Cinecittà certamente offre un prestigio, una raggiungibilità logistica ed una consacrazione nelle attività romane che divene status. Ma rischia anche di far perdere, rendere invisibile il Festival nel calderone pirotecnico dei circenses della Roma veltroniana. Starà nell’abilità degli organizzatori, quella di utilizzare la Capitale come amplificatore. Ma questa sarà la partita più difficile. In fondo, alcuni geni dell’animazione che participano ad una jam session improvvisata, fuori da un cinema di paese è qualcosa di veramente suggestivo e vero. In un capannone nella città della finzione, dove fino a poco tempo prima c’erano i teleragazzi della De Filippi, assume una sensazione plastificata che ricorda non più La dolce vita ma Ginger e Fred.
(Domenica 2 Dicembre 2007)
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