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Tratto dall'omonimo romanzo di Lapierre e Collins

O' Jerusalem

Un film sospeso fra ricerca storica e melodramma


di Oriana Maerini


La trama del film, tratto dall'omonimo romanzo di Dominique Lapierre e Larry Collins parte dall'amicizia neworkese fra due ragazzi: Bobby Goldman, ebreo newyorchese e Saïd Chahine, arabo di Gerusalemme. E' finita da poco la seconda Guerra Mondiale e i due condividono con fervore e passione le stesse idee e gli stessi valori.
Ma da lì a poco, in Palestina, diventeranno nemici e combatteranno l'uno contro l'altro. Il 27 novembre 1947 l'ONU decide la divisione della Palestina e la nascita dello stato di Israele.
Pur apprezzando la lodevole iniziativa di aver portato sul grande schermo (registi come Costa-Gavras, William Friedkin e John Brileyun vi avevano rinunciato) un tema così spinoso e difficile come il conflitto fra ebrei e palestinesi, Elie Chouraqui, ebreo francese nato in Algeria, non riesce a dare pathos alla pellicola.
Il film parte con un impianto quasi documentaristico (si serve di immagini di repertorio) e cronologico, per spiegarci come si è arrivati al terribile conflitto fra due popoli che in passato vivevano in armonia nella stessa terra, per poi sfociare nel melodramma.



Inoltre, nonostante il regista si sforzi di mantenere l'equidistanza di giudizio fra le due fazioni, purproppo la bilancia sembra pendere a favore dei poveri ebrei massacrati dall'olocausto che si imbattono, appena sbarcati dalle navi, ancora deboli e malnutriti, in una lotta impari contro i cattivi palestinesi che non vogliono accettare la nascita del loro stato.
Ma se si guarda con occhi smaliziati O' Jerusalem rappresenta la possibilità di fare un ripasso della nostra storia recente che si ripercuote ancora pesantemente sul nostro presente. Elie Chouraqui mostra la debolezza dell'aiuto degli stati arabi verso i palestinesi, la mancanza di strategie di questi ultimi per la riconquista di Gerusalemme e la passione animosa degli ebrei nel voler a tutti i costi affermare l'identità del loro stato a scapito di una popolazione che occupava quelle terre da 2000 anni. Mostra, insomma, la genesi del conflitto e lascia intravedere le terribili conseguenze di disumana crudeltà che continua a lacerare due popoli in lotta per la stessa terra.
Il messaggio che Chouraqui vorrebbe lanciare è un inno alla stupidità della guerra: due amici che amano la pace costretti all'odio. Ma le scene melodrammatiche (insuperabile quella in cui Saïd ferito e prigioniero in campo nemico assiste con gioia e commozione al matrimonio fra l'amico ebreo e la sua donna morente) infastidiscono lo spettatore critico e caricano di retorica un messaggio altrimenti nobile.
Anche l’enfasi di una colonna sonora ridondante favorisce l'impianto melodrammatico che si srotola via via che il film avanza togliendo l'entusiamo che lo spettatore aveva provato all'inizio, quando credeva di assistere quasi ad una docu-fiction di timbro storico.
Certo non era facile realizzare un film asciutto, distaccato e sobrio con un tema così scottante fra le mani ma forse si sarebbe dovuto scegliere un regista appartenente ad una fede neutrale.

giudizio: *


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(Sabato 24 Novembre 2007)


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