 Pellicola furba e superficiale Mein Fuhrer Ottima interpretazione di Ulrich Muhe
di Raffaele Rivieccio  E’ francamente incomprensibile tutto lo scandalo provocato anche nella stessa Germania dal film di Levy. Vorrebbe essere una punta acuminata che si insinua nella plaga ancora purolente della storia, nella fistola ancora infetta nei recessi della psiche collettiva del popolo alemanno. Ma la lama sembra poco arrotata, l’utilizzo della farsa, della risata bergsoniana, dell’ironia pirandelliana su un nodo così gordiano come il nazismo e la Shoa appare piuttosto come un effetto pretestuoso per richiamare attenzione mediatica su Mein Fuhrer. Il film è sospeso tra alcuni antecedenti storici. Se l’omaggio voluto a Charlie Chaplin de Il grande dittatore appare scontato e dovuto ma non fino ad una scena di chiusura troppo simile; è l’atmosfera e la struttura del film che diventa troppo debitrice di recenti opere sul genocidio ebraico come La vita è bella e Train de vie.

L’unico modo per raccontare l’orrore assoluto è quello di ricrearlo mimeticamente nel mondo della finzione, della riproduzione ludica di una realtà indicibile. Il falso treno o il padre che gioca al “gioco del lager” sono escamotages narrativi ma anche meccanismi retorici per riprodurre la storia su una linea melodica dai toni commedianti e non più tragici. Non parodia ma utopia romantica, onirica alla quale non crede neanche il protagonista o la voce narrante. Il convoglio che riesce a salvarsi di Mihiailenau o il Roberto Benigni che riesce a salvare la vita e l’innocenza del figlio Gesuè, hanno la stessa potenza visionaria della passeggiata fuori dal covo di Aldo Moro nel film di Bellocchio. Dov’è invece il meccanismo svelante, la Rivelazione copernicana che muta l’atteggiamento dell’animo verso la colpa rimossa della nazione tedesca? Come credere alla ridicola macchietta creata sui panni del Furher? Il film non fa, catarticamente, ridere della Storia ma fa ridere nonostante la Storia, con piccoli mezzucci basso corporei come il cane lupo che monta Hitler. Mein Fuhrer è un film che, a una prima visione, sembra un’opera gradevole ed apparentemente coraggiosa. Ma, ripensandoci, mi risulta irritante per la superficialità ed una certa furberia nell’affrontare un tema simile pur nella chiave ironica. Una nota positiva del film è certamente l’interpretazione di Ulrich Muhe, protagonista de Le vite degli altri e precocemente scomparso poco dopo le riprese del film di Levy. Una perdita importante per un attore che riusciva con discrezione e misura ad entrare in ruoli molto difficili, come è anche in Mein Fuhrer, nel quale deve rapportare e dincastrare la propria recitazione realistica con quella iperbolica e farsesca dell’altro protagonista Helge Schneider nei panni di Hitler.
giudizio: *
(Giovedì 22 Novembre 2007)
Home Archivio  |