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![]() Capolavoro a metà per Jacques Rivette La duchessa di Langeais Tratto da un romanzo di Honorè de Balzac di Roberto Leggio Raccontare una storia d’amore, non è sempre facile. Ci sono vicende che parlano di amori impossibili, traviati, maledetti, sensuali, bastardi, oppressivi e naturalmente… inesplosi. Una cosa del genere accade ne La Duchessa di Langeais, tratto da un romanzo di Honorè de Balzac e portato sullo schermo dall’ottantenne Jacques Rivette, maestro francese della Nouvelle Vague. E’ necessario sottolineare questo inciso, almeno per sostenere che il cinema è ancora “materia di cui sono fatti i sogni”, dato che il suo ultimo film è vissuto come un sogno ad occhi aperti, forse un po’ troppo ermetico e d’autore di quanto non lo siano stati i suoi precedenti capolavori. Questo, almeno in parte, un capolavoro non lo è, probabilmente perché trasporre la materia “Balzac”, sullo schermo è sempre una prova di forza. Almeno per quanto riguarda il rigore e la filologia applicata ad un’arte qual è il cinema. In questi termini la Duchessa di Langeais, è un capolavoro a metà, soprattutto per una certa recitazione dei due personaggi principali, forse troppo “contemporanei” per incarnare i due amanti tormentati dei primi dell’ottocento. Sulla carta, le loro vite, il loro far parte di una società scomparsa, erano facilmente contestualizzabili all’epoca, così da essere realisticamente credibili. In questo senso la recitazione rarefatta, drammaturgia, trattenuta (nella prima parte Jeanne Balibar è quasi totalmente inespressiva), fa da contraltare alla perfetta ricostruzione storica degli ambienti. Va detto inoltre che le scuse addotte dalla duchessa per rifiutarsi all’amante sono totalmente improponibili ai giorni nostri, una questione che lo stesso Rivette definisce utopistica.
(Mercoledì 11 Luglio 2007) |
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