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 Le vie del cinema Da Cannes a Roma Fino al 13 giugno sugli schermi romani
di Paola Galgani  Del vasto programma della rassegna ‘Le vie del cinema da Cannes a Roma’, in svolgimento dal 7 al 13 giugno in varie sale della Capitale, vorremmo segnalare alcuni tra i film in concorso davvero imperdibili, all’interno della ricca selezione tratta dalle varie sezioni del festival. Partiamo naturalmente con il film vincitore della Palma d’Oro, ‘4 mesi, 3 settimane e 2 giorni’ di Cristian Mungiu. Una storia molto dura ambientata nella Romania di Ceacescu, che sottolinea il valore dell’amicizia nonostante tutto e denuncia, con toni apparentemente neutrali, a cosa porta un regime repressivo anche negli animi della gente in termini di dolore e cinismo. La purezza della regia, testimonianza della ‘rinascita’ del cinema rumeno, si accompagna alla potente interpretazione di Anamaria Marinca, che deve aver fatto tergiversare la giuria per l’assegnazione del premio per la migliore attrice tra lei e l’altrettanto valida protagonista di Secret Sunshine (poi vincitrice). Come secondo non si puo’ non indicare il commovente ‘Le Scaphandre et le Papillon’ dell’eclettico Julian Schnabel, giustamente premiato per la miglior regia (anche se la lotta tra lui e Van Sant è stata dura). Si tratta della storia vera di un uomo paralizzato in tutto il corpo tranne che per l’occhio sinistro, che diventa la ‘finestra sul mondo’ con cui comunicare e perfino scrivere un libro. Non c’è da aspettarsi, pero’, il solito melodramma con annesso ricatto emozionale. Schnabel, con ardite trovate tecniche e movimenti di camera di ampio respiro, ricostruisce un’originale soggettiva del protagonista e tutto il film sembra respirare al ritmo dell’elenco di lettere dell’alfabeto suggerite come parole d’amore dalla bellissima ortofonista che l’ha in cura. Lo spirito ironico dell’uomo dà luogo a profonde riflessioni, sempre pero’ condotte con i toni dela leggerezza, la stessa che lo innalza nei suoi voli immaginari attraverso altre epoche, montagne e mari infiniti, con il grande potere che gli resta oltre alla comunicazione, l’immaginazione. Come terzo assolutamente imperdibile ci fa piacere segnalare, cosa non comune per Cannes, un raffinato film d’animazione che durante il festival è stato amatissimo ottenendo il premio dela Giuria, ‘Persepolis’, di Marjane Satrapi e Vincent Paronnaud: l’ennesima conferma dell’elevata qualità del cinema d’animazione francese degli ultimi anni. Chi abbia letto l’omonimo fumetto autobiografico dell’autrice, che ha fatto negli anni passati il giro del mondo, ne ritroverà stile e scene. La storia della crescita di una ragazzina tra un Iran repressivo e un’Europa distratta coinvolge, diverte e commuove anche ‘solo’ attraverso disegni in bianco e nero dallo stile volutamente semplice che non ha bisogno di costose tecniche all’avanguardia (ma il film, in cui tutto è disegnato a mano, ha avuto comunque alti costi..), per ottenere i risultati agognati da ogni autore, il sentimento e la poesia. Da sottolineare anche il valore di denuncia dell’opera, che pur con umorismo fustiga la condotta dei regimi iraniani di cui traccia la storia dagli anni ’70 ad oggi; e la Satrapi ha pagato caro il suo coraggio, con l’aspra reazione dell’Iran che la considera ‘persona non grata’. A Gus Van Sant singolarmente è toccato uno strano premio, il Premio speciale del 60°, per lo splendido ‘Paranoid Park’; dopo ‘Elephant’, un’altra storia inquietante di adolescenti imperniata su un dramma apparentemente immotivato e su cio’ che ne segue, senso di colpa mascherato da indifferenza. Cio’ che resta più impresso giorni dopo dopo aver visto il film sono i lunghi e intensi primi piani sul volto levigato del protagonista, nonchè i magnifici filmati –in cui si alternano Super 8 e 35 mm- delle evoluzioni degli skaters che nulla hanno a che fare con le pur bellissime opere sull’argomento degli ultimi anni (vedi ‘Lords of Dogtown’), utilizzando lo skater come mezzo visivo e simbolico per affascinanti divagazioni d’ artista. Un altro autore da cui ci si aspettava molto è Fatih Akin, che pero’ con ‘The Edge of Heaven’ non raggiunge i risultati de ‘La sposa turca’. Si tratta di una storia corale di personaggi che si inseguono e si sfiorano senza mai incontrarsi a cavallo tra due paesi e due civiltà ben diverse ma entrambe europee, qualla turca e quella tedesca. Alla base è il desiderio di rapporti umani e la speranza in un mondo che si costruisce attraverso la cultura, senza fondamentalismi e quasi senza certezze; l’instabilità spirituale e logistica, infatti , è il trait-d’union dei personaggi che girano in cerchio come farfalle impazzite. La regia, per non disturbare i tortuosi percorsi della trama, si fa quasi invisibile se non per alcuni tratti (tra cui sottoliniamo la radiosità dell’ultima, indimenticabile scena), affidandosi più alle suggestioni della fotografia che a un tocco fortemente riconoscibile, con un risultato comunque affascinante seppur incompleto. Alcuni diranno che non è tra gli ‘imperdibili’: noi consigliamo di vederlo non solo a chi ami particolarmente i film di genere -in questo caso, poliziesco- ma anche chi sia curioso di approvare o dissentire dai fischi che il lungometraggio ha ricevuto durante la prima proiezione stampa a Cannes (nati da motivazioni di tipo politico più che artistico). Parliamo di ‘We Own the Night’ di James Gray, un autore uso alla descrizione di cio’ che conosce -cioè polizia, droga, mafia-, stavolta con la nostalgica ambientazione in una New York anni ’80. Condotto in maniera decisamente classica nella narrazione e nella regia, se non convince molto nella trasformazione finale del protagonista, il film riserva delle grandi scene che sono anche omaggi a maestri del genere (l’inseguimento sotto la pioggia, l’epica emersione finale dalle nebbie e la scena iniziale, proclamata a clamor di popolo ‘la più sexy del festival’). Certo è che dopo aver goduto (ci riferiamo, sperabilmente, al pubblico maschile) dello splendore di un’ ingenua quanto sensualissima Eva Mendes, sarà dura affrontare un tema impegnativo come ‘l’importanza della religiosità nella famiglia’, quello che è al centro di ’Tehelim’ dell’israeliano Raphael Nadjari. Lo consigliamo solo ai più coraggiosi per i suoi 20 minuti (continui) di lettura del Talmud che a Cannes hanno messo a dura prova anche i critici meglio predisposti; ma è noto che durante i festival la soglia dell’attenzione cala per saturazione. In realtà l’eccessiva descrizione di riti ebraici, se da una parte allontana emozionalmente chi non è addentro all’argomento, dall’altra contribuisce a tracciare uno spaccato della società israeliana di oggi che non potrebbe essere più vicina alla nostra, per quel senso di inquietudine e di solitudine cui si accennava prima riguardo a ‘The Edge of Heaven’.
Il programma integrale della rassegna si puo’ trovare sul sito http://www.agisanec.lazio.it
(Domenica 10 Giugno 2007)
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