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La spiritualità della natura

Centochiodi

Ermanno Olmi, come grande autore, ci saluta


di Pino Moroni


Un altro maestro chiude il suo ciclo produttivo e ci saluta con un ultimo grande film. Ermanno Olmi, con il suo “Centochiodi” è tornato alla spiritualità della natura ed alla solidarietà umane come nel suo primo film Il tempo si è fermato (1959).

Olmi sa descrivere e partecipare meglio di chiunque altro il rapporto emotivo tra l’uomo e la natura, ed i rapporti più intimi della specie umana. Tutto ciò, in questo suo ultimo e ispirato film, in contrapposizione a quell’intelletto freddo che si è venuto elaborando nei secoli dai concetti creati dai libri.

Ermanno Olmi


Olmi riprende in questo film anche la sua allegoria cristologica (Durante l’estate, 1971) attraverso i chiodi conficcati nei libri ed il personaggio del professore (Raz Degan), che rassomiglia qui alla più nota immagine cinematografica del Cristo.
L’inizio è impressionante, con l’immagine di una biblioteca in cui sono sparsi libri inchiodati sui tavoli o sul lucido parquet, come cadaveri di un film horror.
Seguono indagini sofisticate della polizia scientifica che tratta il caso come se fossero stati uccisi esseri umani e arriva a scoprire il colpevole.

Che si rivela essere un prete –professore di filosofia- che compie questo delitto per “obbligo morale”. Ricercato dalla polizia, il prete finge il suicidio, e si rifugia in una casa diroccata sul Po mantovano.


Qui, dopo una riposante immersione nell’imponente solitudine del fiume, delle sue rive lussureggianti e delle sue grandi spiagge assolate, l’intellettuale ritrova la vera natura del cristiano.
Ritorna la visione cattolico-populista del regista de L’albero degli zoccoli (1978). Il prete-filosofo, come San Francesco, si spoglia del suo pensiero e, aiutato da un gruppo di anziani che hanno costruito casette abusive sulla riva del fiume, si sistema la casa diroccata.

Vive la vita, le feste, il tempo libero degli amici del luogo. E forse trova anche l’amore di una ragazza un po’ matta. Ma, soprattutto, riesce a trasmettere il vero messaggio di Cristo attraverso poesia e parabole, senza la presunzione di un letterato, ma con l’umiltà di un vero cristiano.


La parte più bella del film parla dolcemente e sentitamente dei problemi della vecchiaia, come ne Il posto (1961) era avvenuto per i problemi della giovinezza. È ancora un omaggio ad un mondo in via di estinzione, tanto naturale che umano, fatto di ore felici, di solidarietà e di semplicità.
Esistono ancora persone che parlano i loro dialetto, giocano a carte, bevono vino, si vogliono bene e sognano.
Un altro mondo arrogante, fatto di leggi, decreti, ingiunzioni, progetti turistici, ruspe e forze dell’ordine, sta spingendo via il mondo più vecchio, più vero, più umile.

È la cifra commovente di Ermanno Olmi, che come grande autore ci saluta. Il prete-filosofo sarà riportato in città, a pagare per il suo delitto intellettuale, ed a riscontrarsi con i dogmi della religione.
Gli amici e la donna del fiume aspetteranno invano il loro Cristo fatto uomo.



(Giovedì 19 Aprile 2007)


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