 La “Poesia” del massacro Lettere da Iwo Jima Il dittico di Clint Eastwood visto dai perdenti
di Roberto Leggio L’altra faccia della guerra. Quella che di solito viene (a)scritta dai vincitori. Qui invece si racconta il massacro di Iwo Jima, attraverso le lettere e le vite dei soldati sconfitti del sol levante. 20.000 uomini che resistettero un mese asserragliati nei cunicoli dell’isola pietrosa e vulcanica, che poi divenne emblema della propaganda a stelle e strisce. La scelta coraggiosa è di Clint Eastwood, che dopo Flags of our fathers, conclude il suo dittico, privilegiando (forse) per la prima volta, lo stesso sanguinoso fatto storico visto dalla parte dei perdenti. La forza del film sta proprio in questa visione, perché rende onore alle vite che vennero spezzate nella sconfitta. In un sorta di realistico sogno non-colore (che sbiadisce con l’avanzare della sconfitta), la voce e i corpi dei soldati giapponesi ci mostrano l’insensatezza della guerra.

Da una parte e dall’altra solo uomini contro altri uomini, che si uccidono (o sono costretti ad ammazzarsi) senza una vera motivazione. Infatti in questo film non ci sono ne buoni né cattivi, come non ci sono quegli eroi che rendono un evento epico. Così il generale Kuribayashi e il soldato/fornaio Saigo, il campione olimpico ed il soldato d’elite; sono vissuti in empatia con il pubblico, perché (nonostante i gradi che li differenziano) restano solo persone che cercano di soprav(vivere) ad un massacro. Tutto il film è ridotto all’essenziale, gli scontri, i combattimenti sono vissuti con crudezza dalla quale ne risaltano solo i protagonisti e la loro umanità. Se nel precedente “Flag” i soldati giapponesi erano solo ombre, qui sono gli americani ad esserlo. In questa equivalenza i sentimenti di entrambe le parti pongono al centro solo l’uomo. Così le parole scritte dall’una e dall’altra parte vengono sentite come proprie. Senza differenze. E ciò pone a riflettere sull’inutile della guerra. Di tutte, senza esclusione. La paura, il tentare di vivere, i lutti, i sentimenti, sono identici per tutti. L’apologo è chiaro: Letters From Iwo Jima è un film di guerra. Ma è anche una possente poesia antimilitarista. Come poche ne sono state scritte. E come mai saranno dimenticate.
giudizio: * * * *

(Lunedì 19 Febbraio 2007)
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