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Dove comincia e finisce il mistero…

Inland Empire

David Lynch in un nuovo “capolavoro” metafisico


di Roberto Leggio



Sarebbe facile liquidare Inland Empire, il nuovo film di David Lynch, un’ opera non-sense. Sbarazzarsene in due parole sarebbe come mettere a tacere il nostro io più nascosto, e non farlo partecipe, invece, alla nostra esistenza. Perché più intricati sono gli enigmi che ci portano a fare e decidere qualunque cosa, più il nostro essere trova energia per compenetrare nel mondo che ci circonda. Di per sé, questa analisi, è di fatto un arcano. Fatto di parole scritte di getto, prima che l’evanescenza delle immagini, si deformino e si concretizzino a dare un senso compiuto alle cose. Perché Inland Empire, per la sua composizione è impenetrabile. Una serie di vicende, di immagini, di parole, che compongono un’opera astratta, difficilmente decodificabile in qualcosa di concreto. Il film è tuttavia un mistero. Tanto nella trama, quanto nel suo svolgersi e nel suo chiudersi. E’ forse l’opera più “metafisica” di David Lynch, perché gira attorno ad un corpo (si proprio, così) di un’attrice che si sdoppia, si triplica, si moltiplica, per poi tornare ad essere nuovamente unica. Una donna innamorata ed in pericolo. E la donna, per il suo essere nutrice, madre e punto di partenza delle cose, si schiude al mistero della vita, della morte e forse anche dello stesso universo. Su questo piano, le girano attorno, registi, attori, faccendieri, della Los Angeles stravagante degli Studios e quella dei quartieri pericolosi degradati dalla povertà e dalla violenza. Un punto di partenza ed un punto di arrivo. Ma probabilmente non è così.



Qualche detrattore potrà (e non a torto) indicarlo come un capolavoro “visionario”, talmente mentale da essere assurdo. Un film di immagini (solo quelle) che si aprono e si chiudono senza storia e senza senso di continuità. Ma più di un film, Inland Empire, è una sfida all’intelletto e all’enstablishment hollywoodiano che vive di opere di fatto compiuto perché così è, e così dev’essere. Invece, qui basta uscire dalla logica, abbandonarla per ritrovarsi in un segreto nel quale tutti potremmo riconoscerci. Ed in questo modo ciascuno di noi potrà dare una risposta personale al “suo” film. La magia del cinema è proprio quella di aprire porte sconosciute e rispondere a domande attraverso un intuito personale. Ma forse, invece, non c’è nessun mistero da svelare. Il mistero del film è proprio nel suo “essere”. Magico, irreale, onirico, illogico, eppure così vitale e pulsante. Quindi impedibile.

giudizio: * * *




Leone d'oro alla carriera
David Lynch
Alla 63.ma Mostra d'arte cinematografica di Venezia



(Giovedì 8 Febbraio 2007)


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