 I quarant'anni del capolavoro di Truffaut Fahrenheit 451 Una libreria per bruciare i libri?
di Piero Nussio In una libreria romana è stato proiettato ieri il film Fahrenheit 451, per festeggiare i quarant’anni dalla sua realizzazione (1966).
Il set della proiezione, fra l’odore della carta stampata e gli scaffali di libri era particolarmente significativo, ed univa al significato simbolico dell’operazione anche quella sensazione tattile ed olfattiva che aggiungeva un impatto ed una significatività ulteriore alla materia del film.
Il mito di una società senza scrittura, che è l’obiettivo tematico tenacemente perseguito da François Truffaut nel realizzare la sua opera, è così rilevante per l’autore francese da caratterizzare tutto l’impianto scenico del film. Gli stessi titoli di testa –fatto unico nella storia del cinema- non sono “scritti”, ma raccontati solo dalla colonna sonora, sul significativo sfondo di una serie di antenne di ricezione televisiva.

E tutto il film, scena per scena, è curato maniacalmente per evitare qualunque presenza di scrittura in qualsiasi contesto. Con l’eccezione dei proibitissimi libri, qualunque lettera o alfabeto è bandita da tutto l’impianto scenografico dalla pellicola.
Per realizzare questo obiettivo, François Truffaut ha dovuto immaginare tutto un mondo basato sulla sola immagine, ed in cui la scrittura non fosse prevista. Il quotidiano che il protagonista legge tutte le sere uscendo dal lavoro sembra il supplemento a fumetti dei giornali americani, essendo composto esclusivamente di figure. Più difficile è escludere la scrittura da tutta la burocrazia, e nella fantasia del film i dossier della polizia sono composti solo da una gran quantità di fotografie segnaletiche. Ed anche le missive di chi denuncia il prossimo, le lettere anonime, non sono altro che fotografie con un numero identificativo.

Tutta la parte simbolica della società ipotizzata da Truffaut è costituita da immagini e numeri. E su tutto regna sovrano il televisore. Sono grandi apparecchi da muro (ovvii oggi, ma difficili da ipotizzare quarant’anni fa) su cui si svolge una sorta di reality show perpetuo. In questo la fantasia di Ray Bradbury (autore del libro) e di Truffaut (regista del film) hanno superato di molto quella del “Grande fratello” di George Orwell: in quest’ultimo era l’aspetto poliziesco che prevaleva nel futuro immaginato. In Fahrenheit invece il modello televisivo è proprio quello che si sta realizzando. La cugina Midge che intrattiene amabilmente le casalinghe è molto più credibile del burbero “Grande Fratello” immaginato da Orwell, ed i reality show che vi vengono presentati sono estremamente vicini a quelli della nostra “realtà”, compresa la breaking news della cattura in diretta del protagonista del film.

In questa società senza scrittura c’è molta “immagine” (la moda, l’antiquariato, l’arredamento, l’acconciatura) e poco dialogo. Ancor meno il dialogo diretto, faccia a faccia, fra persone. Si parla quasi unicamente per telefono (tutti, tranne la giovane rivoluzionaria Clarisse, che attacca discorso con uno sconosciuto). Nel racconto appare un solo esponente del “potere” (il Capitano dei pompieri), e ci serve per chiarire meglio l’impianto ideologico della società che si è instaurata: “Parlare il meno possibile, fare sport, avere sempre più schermi televisivi, abolire la lettura perchè rende le persone dubbiose, e quindi infelici”.
Nel 1966 poteva sembrare “fantascienza”, oggi è evidente come il panorama e le abitudini del mondo vi si stiano avvicinando a grandi passi. Gli studi e le indagini sociologiche –oltre alla triste pratica quotidiana- ci dicono che la maggior parte del tempo è dedicata agli “amici elettronici”, che si parla fra umani solo via telefono, che l’icona del nostro tempo è data dalla persona sola che fa jogging con le cuffiette dell’iPod e le Nike ai piedi.

Le uniche differenze profonde fra la realtà ed il mondo prospettato da Fahrenheit 451 sono la mancanza di pubblicità e di shopping center. Nel racconto -e nel film- che derivano dal clima del dopoguerra, il modello negativo cui ci si ispira è la polizia nazista, e forse anche lo stalinismo russo.
Il modello che si è invece imposto non è un totalitarismo stile anni ’30, ma uno stile di vita basato essenzialmente sull’attività commerciale, un po’ sulla falsariga della società americana. Il film di Truffaut risente forse, come altre utopie negative nate nel dopoguerra, di un clima molto “monastico”, sia sul fronte del potere che in quello degli oppositori: da un lato i poliziotti/pompieri, dall’altro gli uomini-libro che sembrano boyscout troppo cresciuti sono compresi solo della loro missione. Nessun rapporto umano, nessuna trasgressione, nessun tipo di divertimento.

È il regno dell’ideologia elevata a sistema, che ha caratterizzato il secolo appena trascorso, ma che sembra già appartenere ad un remoto passato nell’ottica brevissima del ventunesimo secolo. Tutto è inesorabilmente “post”, oramai. Le ideologie, la produzione dei beni, la fantasia, la creatività. Leggere libri da noi è permesso, ed anche vedere i film. Ma guai a farlo collettivamente, nella sala cinematografica, o peggio ancora in una libreria...

François Truffaut nel 1966 La libreria: Mondadori a via Piave a Roma.

Fahrenheit 451: in libreria per la proiezione
(Venerdì 29 Settembre 2006)
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