 Il nuovo mito del “sogno americano” Tutti in televisione Esportare la democrazia-spettacolo
di Pino Moroni A proposito di TV spazzatura, ho visto due film. Illuminanti. Il primo, in TV, di George Clooney, “Confessioni di una mente pericolosa” (2002), il secondo, al cinema, di Paul Weitz, “American Dreamz” (2006).

American Dreamz Il primo parla dell’ideatore e conduttore di show televisivi Chuck Barris. Paranoico, depresso, inventore di quiz innovativi popolarissimi, come “il gioco delle coppie” e “la corrida”. Un uomo con istinti omicidi, che diventa killer della CIA negli anni ’60, ma soprattutto uno che odia la gente e la vuol vedere, e far vedere, per quanto è imbecille. È interessato a far scoprire dell’uomo la parte meno nobile, quella che lo rende simile alle scimmie. Sintomatiche le scene dei provini dei protagonisti degli show, con la scelta –da parte di Barris- di quelli che diventeranno lo zimbello del pubblico, con una cattiveria profonda da parte dello stesso ideatore dello spettacolo che va oltre qualunque arroganza dell’intelligenza. Ne abbiamo visti anche noi in Italia di presentatori che hanno ridicolizzato, umiliato e resi quasi dementi, o bestie, persone che forse erano solo candide o ignoranti. Dice Chuck Barrris, come voce narrante nel film mentre passano nei suoi show migliaia di persone, «Non sapevo che tanta gente avrebbe fatto di tutto, avrebbe perso qualsiasi dignità pur di partecipare ad uno show». Più che cinismo in Barris c’è la voglia di demolire quella parte dell’uomo che attraverso i secoli ha cercato il riscatto dai momenti bui della storia, per poterlo veder degradare ad una condizione acefalica o teleguidata.

Confessioni di una mente pericolosa Il secondo film fa passi avanti sullo stesso argomento. “American Dreamz” ha un collegamento diretto con “Quinto potere” (Sidney Lumet, 1976), icona dei film che parlano di televisione. American Dreamz parte dalla commedia giovanilista un po’ demenziale che ha caratterizzato buona parte del cinema americano degli ultimi anni, a partire da “Animal house” (John Landis, 1978) fino ad arrivare ad “American pie” (1999) dello stesso Paul Weitz. Questo film riesce però a dire, con un’analisi meglio approfondita, alcuna importanti verità sul sistema degli show televisivi di successo. La prima è che quel pubblico per il quale vengono organizzati tali “reality show” non è poi solo la vittima finale, ma è esso stesso che –vorace- cannibalizza ideatori, organizzatori ed interpreti fino alla loro eliminazione totale. È l’audience che diventa il mostro antropofago tra le cui fauci chi fa lo spettacolo soccombe. Ciò è evidente nella middle class americana fatta di mamme ambiziose di vedere i loro figli in TV, nelle classi di extra-americani che vogliono far parte degli show per ribadire la loro appartenenza alla società che li ospita, nei gruppi ancora più esterni (terroristi islamici) che tifano per un loro martire che si faccia esplodere ma sappia ballare e cantare come in un musical.

American Dreamz Il sogno americano do “American Dreamz” diventa allora quella di avere un parente o un concittadino in uno spettacolo televisivo, e di impazzire per lui. Questo è il modello che sta oggi diffondendo l’America, non più l’imprenditore di successo, il “self made man”. Oggi i creatori del consenso vogliono i “comunicatori”, i leader imbecilli di un popolo di imbecilli.
Il paradigma americano attuale non è più la “normalizzazione capitalistica” degli anni ’50 contro il comunismo, ma è il sogno americano di riuscire a partecipare ad uno spettacolo televisivo.

Confessioni di una mente pericolosa
(Mercoledì 9 Agosto 2006)
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