 Il regista di se stesso Sergio Castellitto Un altro figlio, un'altra regia e un tv movie
di Oriana Maerini  E’ considerato il nuovo Mastroianni, ed è sicuramente l’attore italiano più apprezzato all’estero. Osannato a Cannes - dove quest’anno è stato tre volte star in modi diversi (protagonista del film Marco Bellocchio “Il regista di matrimoni", voce narrante del documentario su Mastroianni e interprete del film Paris je t’aime)- e richiestissimo in Francia, dove lavora con registi del calibro di Jacques Rivette e infine amato dai telespettatori che lo hanno ammirato nei panni di Coppi, Padre Pio e Ferrari. Lui, però, non è uomo da cullarsi sugli allori, anzi si schernisce affermando: “una delle cose che più mi raccapricciano è essere chiamato l’attore del momento, perché il momento passa! Oggi raccolgo soltanto i frutti di quello che ho tentato di fare nella mia vita: solo i ruoli e le esperienze che mi piacevano. Qualche volta ho sbagliato, qualche volta no. Per me scegliere è ancora più importante di fare. Un attore, accanto al curriculum delle cose fatte, dovrebbe elaborare il curriculum delle cose rifiutate: solo così puoi capire la strada che ha percorso.” E lui possiede un curriculum di cui vantarsi: grandi successi fra teatro, cinema e Tv. Esordisce in teatro nel 78 con “Misura” per la regia di Luigi Squarzina, al cinema si fa conoscere con il film di Ettore Scola “La famiglia”. Segue la pellicola scandalo: “La carne” di Marco Ferrei, Rossini Rossini di Mario Monicelli, Il grande cocomero di Francesca Archibugi, L’uomo delle stelle di Giuseppe Tornatore, Va savoir! Di Rivette fino all’ultimo film di Marco Bellocchio Il regista di matrimoni. Sergio è da poco diventato padre del suo quarto figlio avuto dalla moglie, la scrittrice Margaret Mazzantini, con la quale ha un connubio perfetto che funziona anche sul piano artistico. Sta preparando la sua terza regia e si allena per interpretare un “Maestro di strada” in TV.
E’ soddisfatto della sua carriera? Non credo alle carriere integerrime: la vita artistica è fatta anche di errori, di tonfi, di insuccessi. Io non sopporto lo snobismo che molti miei colleghi ostentano per la Tv o il teatro e il cinema. Credo che la qualità sia rintracciabile in tutte le zone del nostro lavoro io sono rimasto fedele a questo atteggiamento: la cerco non nel mezzo ma nel valore dell’opera. Fare un film tv come Padre Pio e, dopo un anno e mezzo, interpretare un film sui pensieri di un uomo laico come Ernesto Picciafuoco lo considero in successo, un traguardo di versatilità. La mia carriera è legata ad un percorso e al gradimento del pubblico.
Sergio Castellitto è un laico o un credente? Credo in qualcosa di superiore che potrebbe essere “Dio”, senza appartenere a una determinata confessione. Sono comunque alla ricerca di una spiritualità. E non è così facile.
Ha lavorato con i più grandi registi, da Besson a Scola, da Ferreri a Rivette. Cosa la spinge ad accettare un ruolo? Credo che l’esperienza di un artista debba esser invisibile, camminare lateralmente a che fa. Quando chiedevo a Rivette come dovevo interpretare il ruolo lui mi rispondeva “non lo so”. Dietro questa frase c’è un manifesto, un modo di fare cinema: questo atteggiamento consegna agli attori una grande dignità. Non sono più pedine dentro l’universo poetico del regista ma sono gli occhi, lo sguardo del film. Io ho avuto la fortuna di lavorare spesso con registi che mi hanno dato questa possibilità.
Lei è molto amato e molto richiesto in Francia… Si, è vero, i francesi mi vogliono molto bene. Mi sono fatto conoscere con uno sceneggiato televisivo in 4 puntate dal titolo “Cinéma” dove recitavo accanto a Alain Delon. Lì ho avuto l’occasione di rimanere in Francia per 4 mesi ed ho avuto modo di fare delle conoscenze. Sono stato fortunato ma la cosa di cui vado fiero è che non ho mai girato film di co-produzione. Non sono mai stato la “parte italiana” della pellicola ma sono sempre stato scelto in quanto Sergio Castellitto. Ho interpretato 11 film in Francia, anche se con lunghe pause fra l’uno e l’altro. Erano tutti abbastanza particolari. Mi sono sempre divertito quando ho lavorato nei film francesi perché ho potuto portare un’ironia tutta italiana. Avevo sempre un’arma in più: potevo usare il mio accento che non era un ostacolo ma uno strumento di simpatia e di relazione umana. Chi non parla bene una lingua ha più scappatoie, non soltanto nel dialogo anche nell’aspetto psicologico, sentimentale… anche nella vita.

Una scena de "Il regista di matrimoni"
Dopo il successo di “Non ti muovere” prepara una terza regia? Si, da grande voglio fare il regista (ride), del resto ho fatto più figli che film dietro la macchina da presa! Sto scrivendo la sceneggiatura ma per passione e non per mestiere. Da qui ad un anno, con molta tranquillità, conto di realizzare il film. E’ un progetto in cui credo molto e non voglio uscire dal negozio con l’orlo già fatto!
Di cosa si tratta? E’ una storia dura sul dono del talento, una cosa per cui si può arrivare ad uccidere.
Cosa può dire del nuovo progetto per la tv? E’ un bel ruolo. Sarò un maestro, una sorta di prete laico napoletano. La storia è stata scritta da due autori d’eccezione: Rulli e Petraglia e il film si chiamerà “Maestro di strada”. Mi piace molto fare ogni tanto la tv ma pretendo di farla a buonissimi livelli. Credo di essere stato abbastanza coerente: scelgo solo progetti e registi che amo.
Un critico ha affermato che se lei fosse un attore americano avrebbe già almeno 2 Oscar in garage. Che ne pensa? Altro che garage, io non ho neanche un posto macchina! (ride) Scherzi a parte, credo che ogni attore abbia un suo destino, una sua storia. Sono sempre convinto che bisogna guardare la soddisfazione interiore più che il successo esteriore. Io non mi sono mai sentito inferiore a nessuno, neanche agli attori americani.
(Giovedì 8 Giugno 2006)
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