 Una vittoria politica per Ken Loach? Il vento che scuote la "Palma" Italiani a bocca asciutta
di Roberto Leggio  Alla fine ha vinto lui, Ken Loach. Chi lo avrebbe mai detto? Lui che è un comunista convinto, lui che ha sempre fatto film militanti, lui che ha sempre parlato solo una lingua, quella della rabbia del popolo. The Wind that shake the Barley (Il Vento che scuote l’Orzo) è una sorpresa per tutti. Soprattutto per chi aveva già decretato la vittoria ad Almodovar con il suo bellissimo Volver. Ma si sa ai festival il film più accreditato è quello che poi arriva secondo, se non addirittura ultimo. Lo è stato anche quest’anno, dove la vittoria di Ken Loach è forse una scelta politica. Probabilmente la giuria si è sentita in dovere di “metaforizzare” il suo film con quello che capita in Iraq. Non so se questo pensiero è in linea con il regista inglese, però tant’è. Il suo film, che da noi arriverà in autunno, racconta la storia di un’occupazione: quella dell’Irlanda da parte delle truppe inglesi. Quella che sfociò in una rivoluzione che spaccò in due il paese e che è ancora una macchia nelle coscienze dei sudditi di Sua Maestà. Terra e Libertà venne presentato solo undici anni fa e fece discutere. Il “vento” di questo film scuote la palma d’Oro e il suo strascico si protrarrà a lungo.

Il gruppo di Volver - Foto Pietro Coccia Ma ad ogni modo il festival di Cannes è sempre uno spettacolo e come tale deve essere preso. Pedro Almodovar è il grande sconfitto, ma è anche l’autore che per il suo film si è guadagnato due premi sonori; quello per la sceneggiatura e quello per la migliore interpretazione femminile andato a tutto il gruppo di donne che recitano nella sua opera. Sei attrici, Penelope Cruz, forse nella migliore interpretazione della sua carriera; Carmen Maura ed il resto della compagnia (Yohana Cobo, Blanca Portillo, Lola Duenas, Chus Lampreave) hanno davvero meritato questo premio. Chissà se Almodovar si sia morso le mani. Ma ad una beffa del genere ci era abituato. Già nel 1999, con Tutto Su Mia Madre, si era cullato nell’idea di vincere la Palma, per poi guadagnarsi il Gran Premio della Giuria. Quella volta gli andò meglio. Ma forse i suoi film non hanno bisogno della Palma D’Oro per guadagnarsi una nicchia privilegiata. A conti fatti meglio così.
 Altra sorpresa è pure il premio per la migliore interpretazione maschile. Anche questa andata all’intero gruppo di attori magrebini per il film Indigènes di Rachid Bouchareb, storia dell’Armata d’Africa (composta da soldati marocchini, tunisini e algerini) che combatterono a fianco dei soldati francesi contro i tedeschi durante la seconda guerra mondiale. Sarà un caso ma anche qui gli “echi” dei colpi di fucile in medio oriente sono persistenti. Ed è ancora un colpo di fucile (che lega tre storie a se stanti) a regalare un’ulteriore premio in questa edizione cannesienne. Quello per la miglior regia andato Alejandro Gonzales Inarritu ( a destra nella foto) con il suo Babel, forse non veramente riuscito come i precedenti Amores Perros e 21 Grammi, ma non per questo doloroso ed inquietante da lasciare senza fiato. Il Gran Premio della Giuria è invece andato Bruno Dumont con Flanders. A bocca asciutta tutti gli italiani, sebbene, nonostante le buone critiche per Il Caimano di Moretti, e quelle cattive per L’Amico di Famiglia di Sorrentino. Magari si meritavano qualcosa ma quando in una edizione ci sono troppi buoni film si incappa sempre in certi rimpianti. Perché come ha detto a fine serata Monica Bellucci, la nostra giurata in questa kermesse cinematografica, “Cannes ha la capacità di far vivere anche quelle opere che non vengono premiate”. Il cinema in fondo è un sogno. Quindi basta inseguirlo.
(Lunedì 29 Maggio 2006)
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