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Il sonno della provincia crea mostri

Bubble

Primi piani che danno anima ai personaggi


di Roberto Leggio


Esperimento o capolavoro? Steven Soderberg si è ricordato di essere un regista vero, anche quando (soprattutto) non sbrodola in pellicole “amicali” come Ocean’s Twelve. Bubble, per quanto strambo sia, è innanzi tutto un vero film. Girato interamente con una sola telecamera digitale, quasi sempre fissa, è un vero capolavoro di stile che sfiora la perfezione. La storia è semplice, tirata all’osso, tanto scarna quanto può esserlo una vicenda di umana “routine”. In una delle ultime fabbriche di bambole nell’immenso “nulla” americano, l’obesa Martha prova un’amicizia quasi materna nei confronti del giovane e belloccio collega Kyle. Con lui cerca un punto di contatto, scambiando fugaci discorsi senza peso divorando hamburger e patatine nelle pause pranzo. Ma lo stato “naturale” delle cose cambia all’improvviso con l’arrivo dell’avvenente Rose. Tra lei e Kyle sembra nascere qualcosa, che turba pericolosamente Martha, sballando in maniera inaspettata i precari equilibri di “sopravvivenza”.


Per scelta stilistica e soprattutto per la sua sintassi narrativa, Bubble si presta a diversi piani di lettura. La più lampante è quella di una narrazione minimale, dove la telecamera, quasi sempre a chiudere in primi piani, analizza in profondità le anime dei personaggi. Ma se scaviamo nel “fango”, la metafora della provincia americana, diventa l’inquietante fotografia di un paese allo sbando che, mentre l’economia va a rotoli, si deve accontentare di lavori mal pagati e l’unico lusso può essere una birra nel locale più vicino a casa. Chi si accontenta è destinato a restare ingabbiato in un precario futuro ma chi invece si ribella rischia di perdere tutto. Soderbergh però non si schiera ne dall’una ne dall’altra parte. Forse perché non servono tante risposte. Le sue immagini parlano da sole: la vita è noiosa e pigra ovunque e basta un nonnulla per svellere qualsiasi certezza.

giudizio: * * *


Sperduti in un’America deserta
Fiori spezzati
Jim Jarmush e i suoi "replicanti"
Bill Murray, diventato specialista del silenzio, dell’immobilità e dello sguardo nel vuoto.



(Lunedì 15 Maggio 2006)


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