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Un premio inatteso, ma logico

Crash e l'Oscar

Hollywood premia un film di "legge e ordine"


di Pino Moroni


Tutti sanno che l’Oscar non è nient’altro che la promozione del cinema americano, ed il cinema americano ha bisogno dell’Oscar per inviare messaggi al mondo e per vendere meglio i suoi prodotti cinematografici e ideologici.

Ma i prodotti cinematografici non sono poi infiniti: kolossal, musical, wetern, guerra, thriller, effetti speciali. Oppure quel genere che parte dal “Distretto di polizia” per arrivare, attraverso vita privata e lavoro degli agenti, dei detectives e dei procuratori generali, alla vita comune della middle class o dei reietti della società americana.

Crash – contatto fisico fa parte di questo genere, ormai sfruttato in innumerevoli serie televisive, senza tante idee in più di quelle ormai viste in altri film di “guardiani della legge”, più o meno corrotti, più o meno violenti, più o meno razzisti o spacciatori.


La bravura di un regista, e per questo prendiamo ad esempio Robert Altman, è quella di riuscire a cucire più storie parallele di individui in un affresco corale, fondendo mirabilmente il tutto in un unicum (cosa estremamente difficile) e dirigendo il gruppo senza perdere per strada nessuno (Nashville, 1975; I protagonisti, 1992; America oggi, 1993) .

Quando però il film diventa una serie di scene spezzate e montate in moviola, con il filo della storia che si perde e manca di fusione, e gli attori che compongono un gruppo si disperdono in scene senza senso, si dice che il regista non è riuscito a tenere il film, che è “mancato il manico”.

Crash appartiene a questa categoria. Paul Haggis ha perduto il filo, gli sono sfuggiti di mano gli interpreti, la storia si è sgranata. Peggio, è riuscito a creare degli assoli molto buoni che non si inseriscono però in un discorso omogeneo sulla dura vita dei poliziotti, sulle loro debolezze, sugli amori, gli affetti familiari e gli errori.


Si è parlato anche di un “discorso sul razzismo” per evidenziare questo film, ma purtroppo gli alieni –neri, gialli, ispanici o islamici- sono simili a fantasmi nella sceneggiatura, sono delle controparti che non sembrano avere le stesse debolezze, amori, affetti degli altri americani Wasp.
Gli unici accettati sono i neri "integrati", quelli che fanno da contraltare nei dosaggi americani del "politicamente corretto".
E questo è razzismo vero. Un’America che vede il mondo solo dalla parte economica.

La cosa più ipocrita di questo film è che dopo due ore di grande tensione, violenza, sofferenza e morte, tutto poi si accomoda.
Tutti diventano più buoni, ed i quadretti familiari finali che preludono ad un futuro migliore fanno parte della peggior retorica da premiare con un Oscar.


Per far credere ancora al mondo alla capacità di purificazione finale, dopo che le pistole l'hanno fatta da padrone per due ore in una storia di ordinaria violenza, col morto finale.

Eppure, Crash ha vinto tre Oscar.
Certo, non potevano essere premiati i cowboy gay di Brokeback Mountain, né quel drogato di Johnny Cash di Walk the line.
Figuriamoci le vendette israeliane dopo la strage di Monaco, tantomeno i processi maccartisti di Good night and good luck.
Ancor meno gli sporchi affari della CIA di Syriana o la transessualità di Transamerica, né l’attivismo contro le multinazionali farmaceutiche di Costant gardner.

Che ci rimaneva? Crash, di nome e di fatto.


A sorpresa, "Crash"
Gli Oscar 2006
Solo le briciole per Ang Lee e George Clooney
Nessun premio agli italiani in gara.



(Domenica 19 Marzo 2006)


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