 Che tempo che fa The weather man Il "meteo" come sintesi della vita
di Piero Nussio Ancora un messaggio disperato dall’America di Bush: la nazione che si è presa la briga di “esportare democrazia” nel mondo, la super-potenza che ha vinto la guerra fredda ed imposto il suo “modello di vita” in tutti i continenti, sta sempre più brancolando nel buio a casa sua. Non è un interesse “politico” quello che motiva queste righe, ma la sconsolata reazione di fronte all’ennesimo film sulla crisi dell’American way of life, di fronte al crollo di uno dei principali pilastri del modello occidentale. The weather man non è l’opera di un “provocatore” tedesco come Wim Wenders (Non bussare alla mia porta), né il film di un autore off come Jim Jarmush (Broken Flowers). È una buona pellicola di un onesto mestierante come Gore Verbinski, uno che è “autore” di Un topolino sotto sfratto, The Ring, La maledizione della prima luna, The mexican.

Ma allora perchè un onesto regista d’avventura si mette a fare un film livido come “The Weather man”? Tanto per cominciare, perchè negli USA, i registi dei film di avventura e di evasione come lui sono laureati alla “UCLA film school” (Università di Los Angeles, cioè l’università del cinema di Hollywood). E perchè Gregor Verbinski ha una bella gavetta alle spalle come pubblicitario, ed è il creatore del logo della rana della birra “Bud”. Uno che l’ambiente lo conosce bene. Un altro che conosce bene l’ambiente del cinema e dello spettacolo USA è l’uomo delle previsioni Nicolas Cage, all’anagrafe Nicholas Kim Coppola, nipote del regista Francis Ford Coppola e figlio di un professore universitario di letteratura e di una grande coreografa, nonché nipote dell’attrice Talia Shire. Nicolas Cage ha una vita privata più disastrata del protagonista di “The Weather man” (tre matrimoni, due divorzi, un figlio con una quarta donna, ecc.) ed è amico di Tom Waits (che non depone certo a favore della sua rispettabilità...). Ma è anche lui un laureato dell’UCLA e soprattutto un vincitore dell’Oscar, in una famiglia (Carmine, Francis Ford, Sofia) che prende Oscar da tre generazioni. Se non è establishment questo...

L’uomo del Meteo, “The Weather man”, è un film sulla storia di un successo, di un presentatore in carriera, un mago del meteo che si è inventato il “picco Spritz” ed è un grande ballerino del croma-key, uno che sa muoversi con grande eleganza fra masse fluide, tempeste e basse pressioni. È una star del Meteo di Chicago, ed ora sta per avere la grande opportunità: andare a New York per entrare nello staff di “Hello America”, l’equivalente di ”Uno mattina” con cui si svegliano duecento milioni di cittadini a stelle e strisce. Mr. Smith va a Washington era il sogno di James Stewart nel 1939, era il successo dell’uomo qualunque diventato importante, era il sogno americano di chi è riuscito a farsi da sé. “Mr. Spritz va a New York” è il sogno rivisto e corretto dopo sessant’anni: lo stipendio è molto aumentato, la notorietà pure, la televisione ha sostituito il Congresso e l’uomo del meteo David Spritz veste paltò e completi di gran classe.
Ma, come in un vecchio film dell’anarchico Buñuel, un piccolo particolare lascia immediatamente capire come le cosa stiano in realtà: i bellissimi paltò alla moda sono sfigurati dagli avanzi di cibo che gli spettatori tirano a David Spritz per sfogarsi. E così l’uomo immagine, il cesellatore delle correnti ascensionali dà di se un’immagine schifosa per tutta la durata del film.

Si potrebbero poi scoprire i legami simbolici fra il junk food (cibo spazzatura) dei fast food che il presentatore si ritrova sui suoi bellissimi vestiti da stilista e la spazzatura che il protagonista si sente dentro per il lavoro che fa e la vita che conduce, ma forse è più semplice dire che al successo commerciale corrisponde una catastrofe esistenziale completa.
Il nostro uomo di successo ha un figlio adolescente coinvolto in brutti giri omosessuali e di disintossicazione. La figlia minore è obesa, lenta come un plantigrado, fuma a dodici anni ed è oggetto di pesanti scherzi di tipo sessuale. La moglie separata, nonostante i desideri del nostro, si sta per risposare con un altro. L'anziano padre del giornalista considera il figlio in carriera una specie di cretino, e lui stesso ci si sente già da solo. Può bastare?

Un film del genere, certo, non riesce a sprizzare energia e comunicatività da tutti i pori. Ed il regista, nonostante si sforzi, non riesce a far alzare il suo film ad alte quote: per fortuna sua e nostra non ci prova nemmeno, ed il livello cui si innalza la narrazione e quello di una “anatra zoppa”, tanto per usare il modo di dire americano. Anche perchè –bravura degli sceneggiatori- il film riesce ad impallinare anche l’unico personaggio un po’ solido di tutta la narrazione. L’antipatico padre del protagonista (un Michael Caine talmente in parte ad interpretare un anziano scrittore di successo, che detesta totalmente il lavoro da pagliaccio del figlio, da far rimpiangere di non ascoltare la sua recitazione british in lingua originale) sta morendo irreparabilmente. La cosa non sembra dispiacere a nessuno, tranne un po’ al figlio che lo definisce “Solido come una roccia”, ma tanto per essere kitsch fino in fondo decidono di organizzare un funerale da vivo, cui il morituro assiste impassibile deliziandosi di tutti gli elogi funebri di parenti ed amici.

In attesa che la moda del funerale da vivo prenda piede anche da noi, e dopo aver registrato il “lieto fine” a milioni di dollari del protagonista che così farà il ballerino del croma-key per l’intera Nazione, è difficile dare un giudizio sul film. Se doveva essere un intrattenimento, allora ha di certo mancato il bersaglio. Se voleva dare testimonianza, essere il funerale da vivo del “sogno americano”, allora non c’è film più riuscito. E non c’è immagine più iconograficamente perfetta del bel colletto da executive di Nicolas Cage inesorabilmente sporcato dal frullato di McDonald’s.

(Lunedì 6 Marzo 2006)
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