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Un thriller politico sull’industria petrolifera internazionale

Syriana

George Clooney, Matt Damon e William Hurt nel cast


di Francesco Lomuscio



Viviamo in tempi difficili, complessi, e volevo che Syriana riflettesse questa complessità in modo viscerale, che la cogliesse da un punto di vista narrativo. Non ci sono buoni e cattivi e non ci sono risposte semplici. I personaggi non corrispondono ad archetipi tradizionali; le storie non racchiudono in modo netto piccole lezioni di vita, le domande restano aperte. La speranza era che, non facendo chiarezza su ogni cosa, il film vi sarebbe entrato in profondità in modo diverso e vi sarebbe rimasto dentro più a lungo. Questa sembrava essere la riflessione più onesta possibile da trovare in noi stessi in relazione a questo mondo dopo l’11 settembre”.

Parole di Stephen Gaghan, vincitore del Premio Oscar per la miglior sceneggiatura con Traffic (2000) di Steven Soderbergh, nonché regista di Abandon – Misteriosi omicidi (2002), che ora torna dietro la macchina da presa per occuparsi di Syriana.


Syriana, ispirato al libro "La disfatta della CIA" di Robert Baer, thriller politico che rivela intrighi e corruzione all’interno dell’industria petrolifera globale, del cui titolo spiega: “Sebbene ‘Syriana’ sia un termine reale utilizzato dagli strateghi di Washington per descrivere un’ipotetica risistemazione in Medio Oriente, il nostro titolo viene utilizzato in modo più astratto. ‘Syriana’ come concetto – l’ingannevole sogno di poter rimodellare con successo Stati e Nazioni a propria immagine – non è altro che un miraggio. Syriana potrebbe essere il titolo giusto per un film che tratti di qualsiasi tema avente a che fare con le sfrenate ambizioni dell’uomo, la presunzione, il sogno di un impero”.

E proprio dal succitato regista di Ocean’s eleven (2001), tra i produttori esecutivi del film, sembra attingere Gaghan nel mettere in scena una vicenda in cui si ha la netta impressione che nessuno ne sia il protagonista assoluto, immersa in un Paese produttore di petrolio del Golfo.


Paese in cui troviamo il riformatore Principe Naisir, interpretato dall’Alexander Siddig del serial televisivo Star trek: Deep space nine, legittimo erede al trono, il quale ha appena ceduto i diritti di sfruttamento del gas – una volta appartenuti alla Connex, gigante texano dell’energia – ai cinesi, in seguito ad una più vantaggiosa offerta d’appalto.
Un vero e proprio brutto colpo per la Connex, la quale decide di fondersi con un’altra piccola compagnia petrolifera: la Killen di Jimmy Pope/Chris Cooper. L’accordo in fase di attuazione rende necessaria una verifica da parte del Dipartimento di Giustizia, la quale viene effettuata dal potente studio legale di Washington Sloan Whiting, il cui capo Dean Whiting, con il volto del veterano Christopher Plummer, nel tentativo di mandare a monte l’accordo di Naisir con i cinesi, fa pressioni sull’anziano Emiro al fine di scegliere il figlio più giovane Meshal/Akbar Kurtha, decisamente più malleabile nei confronti degli interessi economici statunitensi.

Gaghan costruisce quindi il lungometraggio, tra sceicchi, lavoratori nei giacimenti ed ispettori del governo, sfruttando soprattutto la presentazione dei molti, diversi personaggi, tra i quali troviamo l’agente della CIA Bob Barnes, interpretato da George Clooney (tra i produttori del film), prossimo alla fine di una lunga carriera, e l’esperto in problemi energetici Bryan Woodman, con le fattezze di Matt Damon, il quale vive a Ginevra con i due figli e la moglie Julie (Amanda Peet).

Il primo, incaricato di uccidere Naisir, comincia a scoprire di essere stato raggirato, per anni, mai reso partecipe delle vere ragioni delle sue missioni, mentre il secondo, per un atroce scherzo del destino, si ritroverà a lavorare per il Principe.


Eppure, questo ritratto della situazione mondiale post – 11 settembre, molto più schierato, a partire dall’epilogo dal sapore vagamente fantascientifico, di quanto voglia apparire neutro, finisce per rivelarsi, soprattutto agli occhi dello spettatore meno propenso alla politica su celluloide, piatto e decisamente poco coinvolgente, se non in rarissime occasioni (si veda la tortura inflitta a Bob Barnes); d’altra parte, nel passato cinematografico del regista, troviamo anche la sceneggiatura di Incubo finale (1998, sequel di "So cosa hai fatto"), uno dei peggiori teen–horror degli ultimi anni.

William Hurt, nei panni dell’agente CIA in congedo Stan Goff, rientra sicuramente tra i migliori elementi del cast, anche se lo vediamo poco, mentre lascia perplessi la candidatura all’Oscar di George Clooney, il quale, a differenza del Robert De Niro di Toro scatenato, sembra essere soltanto ingrassato.

Il problema principale del film, comunque, è individuabile nella troppa carne al fuoco presente, la quale, se all’interno di un testo scritto può essere letta e riletta, per meglio intenderne il significato, alla velocità di 24 fotogrammi al secondo non lascia allo spettatore il tempo di capire bene quello che gli viene mostrato.
In conclusione, quindi, ci troviamo dinanzi a 127 minuti: pochi per contenere tutto ciò che si sarebbe voluto raccontare, ma troppi e noiosi, a causa della confusione generata.


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(Martedì 28 Febbraio 2006)


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