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L'armata Brancaleone

I ricordi di Mario Monicelli

In occasione del restauro della pellicola



Dal volume Quando la commedia riscrive la storia, curato da Stefano della Casa e dedicato al restauro de L'armata Brancaleone, riportiamo parte dell'intervento di Mario Monicelli, regista del film.


"Era un momento di lavoro intenso, quindi mettemmo da parte il soggetto o solo qualche anno dopo ne parlammo con Mario Cecchi Gori. Inizialmente lui oppose delle resistenze: non gli piaceva come era raccontato. Diceva che erano una serie di vagoncini attaccati l'uno dietro all'altro ma senza una trama, cosa indubbiamente vera.
Inoltre era preoccupato per la lingua, temeva che nessuno l'avrebbe capita, che sarebbe stato come fare un film muto.

Viceversa questo non ci impensieriva affatto, anzi eravamo convinti, e io lo sono sempre di più, che il vero cinema sia muto e in bianco e nero e che dal 1928, quando è stata introdotta la colonna sonora, sia cominciata la corruzione del cinema. L’impiego di questo tipo di linguaggio, in fondo, dimostrava proprio la nostra ricerca, la nostra tensione a fare un film muto. Il linguaggio in Brancaleone è importante per l'immagine del Medioevo ma non serve ai fini della comprensione della storia.

Aspettammo alcuni mesi, io rinunciai anche al compenso pur di girare il film, fino a che Cecchi Gori si convinse, brontolando che sarebbe andato incontro a un salasso. Per quello che mi riguarda, al contrario, questo è il film in cui ho guadagnato di più perchè entrai in compartecipazione sugli incassi.
Dopo L’armata Brancaleone nessuno mi ha più fatto un contratto a incassi, a partire da Cecchi Gori per il seguito del film.

L'armata Brancaleone, lo monaco crociato


Brancaleone si caratterizzava, soprattutto nelle scene iniziali, per una violenza inusitata per la commedia in quegli anni. La scelta fu mia, nel senso che fui indotto a caricare ulteriormente quanto era previsto dalla sceneggiatura, il saccheggio di un villaggio, dal luogo che avevamo scelto con Piero Gherardi, un posto vicino a Nepi. Fu una delle prime volte che nel cinema italiano si presentava una violenza così esplicita e dura ma l'intento era sempre quello di far ridere anche se in modo truculento: un manigoldo che nel tentativo di tagliare la testa all'avversario mozza il braccio al suo compagno.

Doveva essere tutto un po' arrangiato come il torneo miserabile che sembra ambientato in un campetto di promozione di calcio. Anche la cavalcatura di Brancaleone avrebbe dovuto essere miserabile, una specie di ruminante macilento. Gassman, però, aveva il terrore di avvicinarsi ai cavalli, stava a cavallo solo da fermo.
Dovevamo cercare una bestia molto tranquilla ma trovammo solo un cavallone sfiancato, robusto e pesante. La sceneggiatura prevedeva che fosse di un colore giallino e Gherardi gli mise addosso una gualdrappa fatta con una specie di rete strappata che lo rendeva ancora più improbabile. Era un set curioso e divertente, c'era un cavallante che tutte le mattine molto presto, mentre noi preparavamo le altre cose, dipingeva l’animale di giallo e tutte le sere lo ripuliva per evitare che soffocasse per la vernice.

L'armata Brancaleone, lo cavalcone


Cera l'elemento erotico della scena della corte bizantina. Avevamo ipotizzato che i bizantini fossero estremamente corrotti e Barbara Steele si rivelava all'improvviso una sado-masochista con il povero Brancaleone, un bonaccione ingenuo.
C'eravamo divertiti a introdurre un'allusione sessuale molto romanesca, capita da pochi: l'amante della principessa era un nano gobbo che si chiamava Cippa, che in vecchio romanesco è un appellativo del membro maschile.

Il mio grande rammarico è per la scena di Folco Lulli e l'orsa che non venne bene. Nella sceneggiatura era scritta molto bene questa convivenza con l'orsa. Purtroppo non trovammo una vera orsa ammaestrata e utilizzammo un attore travestito con un costume.

Il personaggio del monaco fu caratterizzato dallo stesso Enrico Maria Salerno. Mi ricordo che mi capitò in casa mentre stavo lavorando al film proprio cercando di capire a chi affidare la parte. Mi disse che aveva letto la sceneggiatura e che voleva farla lui a ogni costo. Mi fece sentire due o tre squilli di quella voce bianca con la tonalità in falsetto che mi convinse immediatamente.

L'armata Brancaleone, lo supplizio saracino


La scelta di Gian Maria Volonté invece la contrastai molto, secondo me era sbagliato per quel ruolo. Lo volle prendere Cecchi Gori, preoccupato che il film andasse male, perché vedeva Brancaleone come una sorta di western. Allora non sapevo neanche che Volonté fosse diventato molto polare come attore di western grazie a Sergio Leone. Io invece cercavo un tipo diverso, un attore molto magro, rastremato, evanescente, come sono raffigurati i bizantini, ma al contempo mascalzone. Avrei voluto prendere, non gliel'ho mai detto, Vianello, perfetto con la sua aria aristocratica fasulla. Di Volonté. non fui mai soddisfatto perché invece era robusto, corpulento, forte, più simile a Brancaleone. Infatti lui e Gassman, pur mantenendo tra loro il massimo fairplay, entrarono in competizione sull'immagine dell'attore. Si sfidavano su chi fosse il più forte, finché, una sera in un ristorante a Crotone, fecero una gara di lotta e vinse Gassman.

Carlo Pisacane è l'ebreo Abacuc. Lui era napoletano ma per me aveva già fatto l'emiliano in I soliti ignoti (1958). Nasceva conie attore di strada, faceva le sceneggiate. Fu così che lo trovai."


Mario Monicelli
La sostenibile leggerezza del cinema
Un libro intervista sul grande maestro

Completato il restauro del capolavoro di Monicelli
L'armata Brancaleone
Curato dal grande operatore Giuseppe Rotunno
A cura dell’Associazione Philip Morris Progetto Cinema.



(Giovedì 2 Febbraio 2006)


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