 L'armata Brancaleone Le ragioni di un successo, parola di Enrico Lucherini In occasione del restauro della pellicola
Dal volume Quando la commedia riscrive la storia, curato da Stefano della Casa e dedicato al restauro de L'armata Brancaleone, riportiamo l'intervento di Enrico Lucherini, raccolto a cura di Stefano Della Casa e Maddalena Libertini.

"Il mio sodalizio con Vittorio Gassman era cominciato con l'Adelchi nel 1960. Fino agli anni '50 Vittorio era stato soprattutto attore di teatro. L’Adelchi era stata un'operazione singolare, il tentativo di rendere popolare un repertorio teatrale classico italiano ed è stato il primo teatro-circo. Ora va molto di moda, ma allora era una assoluta novità, il primo in Italia: era stata appositamente allestita una grande struttura al Parco dei Daini a Villa Borghese che poteva essere smontata e trasportata in altre città. Da allora io e Vittorio abbiamo lavorato sempre insieme tranne quando lui faceva i film con De Laurentiis. Mi piaceva Vittorio perché era uno che amava osare sempre. Ricordo ancora nel 1962 l'uscita di Il sorpasso al Cinema Corso in piazza San Lorenzo in Lucina. I primi tre giorni il cinema era vuoto, stavano per smontare il film, ma sentivo che c'era qualcosa nell'aria, tra la gente si era diffuso una sorta di passaparola, si diceva: vai a vedere il film, è un film strano in cui muore il protagonista. Al quarto giorno, improvvisamente, fece il tutto esaurito. Da quel momento realizzò grandi incassi.
Uno incertezza simile, in qualche modo, si è ripetuta poi per L'armata Brancaleone. Aveva fatto dei tentativi da attore comico, ma L'armata era una occasione eccezionale. Vittorio, pur avendolo capito, era incerto: quando lesse il copione mi telefonò per chiedermi consiglio. Mi disse che il copione era pazzesco, fantastico ma non sapeva che fare, era qualcosa talmente nuovo che nessuno avrebbe potuto dire quello che ne sarebbe venuto fuori. (Io stesso mi ricordo che quando andavo a vedere il girato giornaliero non sapevo immaginare quale sarebbe stato il risultato finale.) In effetti all'uscita, inizialmente la critica rimase perplessa. Grazzini, sul “Corriere della Sera”, ebbe il coraggio di dirne subito molto bene. Gli altri erano un po' sconcertati, spiazzati da un film con un tale insieme di attori. Con il tempo si capì che stava dando l'inizio a un genere e che sarebbe diventato un modello seguito da una lunga schiera di imitatori che è arrivata fino a oggi. Divenne un film simbolo.

L'armata Brancaleone Per quanto riguarda il pubblico, gli incassi cominciarono il secondo giorno. Mi ricordo la sera della prima. All'epoca, non si facevano grandi serate di gala con gli attori che si presentavano e ringraziavano il pubblico. Il film veniva distribuito in una ventina di copie nelle città principali. Di solito si andava al cinema e si aspettava dietro le tende le reazioni del pubblico. Io ero, sono, sempre emozionato in questi casi, e mi piace essere lì. Monicelli, invece, aveva paura e aspettava a casa mentre io e Lombardo eravamo andati al cinema Barberini al secondo spettacolo. Nessuno di noi sapeva cosa aspettarsi, molti non avevano creduto al progetto. Prima di Cecchi Gori, gli altri produttori lo avevano rifiutato. Ci rassicurammo solo quando sentimmo il pubblico ridere.
Ci sono delle scene molto divertenti nel film come quella delle frustate con Barbara Steele. Chiamammo Monicelli al telefono per tranquillizzarlo. La risposta del pubblico fu molto buona grazie anche al lancio che fu clamroso. Gassman e Sordi erano in quel momento gli attori di grido, Tognazzi non aveva ancora preso la strada della commedia agra e grottesca che lo ha consacrato e Manfredi ha impiegato più tempo e fatica a raggiungere la fama degli altri. Salerno e Volonté non erano ancora al livello di Gassman e avevano per lui il rispetto e la reverenza che si portava al grande attore di teatro.

Ma la grande invenzione della distribuzione, accanto ai manifesti tradizionali, furono i manifesti in tre dimensioni. Questi manifesti in plastica con la figura di Gassman che veniva fuori, suscitarono molto scalpore. Furono messi in alcune città, attaccati in alto, erano di grande effetto. Oggi non durerebbero un giorno perché verrebbero immediatamente rubati. Soprattutto, però, rimasi impressionato che il distributore, Lombardo, investisse cosi tanti soldi in quel tipo di promozione. Da parte mia, invece, avevo individuato quelli che ritenevo i punti forti del film. Avevo pensato di puntare sull'immagine della Spaak che avevo lanciato agli inizi degli anni '60 come ninfetta in I dolci inganni di Lattuada che qui, per contrasto, era vestitissima con una immagine quasi monacale. Mi intrigava, poi, usare la scena dell'incontro tra Vittorio e Barbara Steele, una scena sexy in cui entrambi restano quasi nudi, molto audace per l'epoca. Tuttavia quella che risultò alla fine la scena più emblematica e vincente fu il duello con Volonté, fotograficamente lo scontro tra i due cavalieri nel campo di grano aveva un impatto fortissimo.
Naturalmente la lingua era un'altra invenzione straordinaria ma, in questa rivisitazione generale di un Medioevo un po' realistico e un po' fantastico, l'aspetto più singolare, unico, erano le scene e i costumi di Piero Gherardi. Mi ricordo soprattutto la scena in cui l'armata attraversa la campagna in inverno, scena nella quale aveva usato dei lenzuoli per dare l'impressione dello sciogliersi della neve. Il film è pieno di trovate originali che, nell'insieme, ne hanno fatto un prodotto unico, indubbiamente per l'epoca, ma ancora attualissimo."

(Giovedì 2 Febbraio 2006)
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