 Sperduti in un’America deserta Fiori spezzati Jim Jarmush e i suoi "replicanti"
di Pino Moroni C’è un paese, il Grande Paese, dove il senso del vuoto, lo straniamento e l’angoscia esistenziale si riflettono su di in un uomo solo, al punto di rottura con il suo fallimento personale. Bill Murray diventa così il prototipo dell’americano di oggi, sperduto in un’America deserta dove tutti gli altri sembrano nascosti dentro le loro case dalle finestre scure (come nel racconto di Lovecrat), ad interpretare vite alienate ed alienanti.
Un amico maniaco della detective fiction, perfetto organizzatore di viaggi tramite Internet. Una vecchia fiamma, arredatrice di armadi disordinati, con una figlia Lolita-2000, bambola gonfiabile senza vestiti e senza sesso. Una coppia di venditori immobiliari, di un mondo parallelo, in una casa futuribile davanti ad un pranzo con pietanze da astronave. Una “comunicatrice di animali”, travolta dai ritmi psicopatici di una segretaria-robot e da un gatto filosofo. Una sperduta landa hippy, fuori del tempo e della tolleranza umana.
Malgrado questa varia umanità, il regista Jim Jarmusch non vuole parlare degli uomini, ma del grande Buco Nero che sta risucchiando l’America. Bill Murray, come già in Lost in translation, diventato specialista del silenzio, dell’immobilità e dello sguardo nel vuoto, del tempo che passa in una casa-acquario con televisione accesa, è solo uno strumento per scoprire scorci di un terrificante panorama americano, fatto di autostrade, boschi, casette bianche. Grandi spazi e deserto umano.
Quanto è ormai lontano il senso dell’eroismo, la vitalità giocosa e l’autoironia di una società che, nella metà degli anni ‘80 reganiani, con Ghostbusters, eliminava tutti gli esseri immondi rappresentati dai nemici reali comunisti o dai mostri della coscienza capitalistica in analisi psichiatrica.

Jessica Lange e Bill Murray in ''Broken flowers'' Bill Murray aveva allora il piglio del crociato, e si divertiva un mondo a caccia di alieni. Può darsi che il benessere della civiltà opulenta americana degli ultimi vent’anni abbia creato un ambiente in cui i “cacciatori di alieni” siano diventati, come nel vecchio film sui “baccelloni” (L’invasione degli ultracorpi, 1956), solo vuoti replicanti degli esseri umani.
La conferma di questa ipotesi la dà lo stesso Jarmusch che -nel finale- mette l’unico “umano” non replicante, un giovane in road trip, terrorizzato da quel tipo di società, dalla sua famiglia, da suo padre. E necessariamente da Bill Murray, che ne è un prototipo perfetto.
Un’altra conferma di questo momento di decadenza esistenziale della civiltà americana, di questo nuovo culto dell’invisibilità, è dato anche dal film di Wim Wenders Non bussare alla mia porta.
Un regista europeo ed uno americano, con un tenue legame (Jessica Lange, moglie dello sceneggiatore Sam Shepard, è anche nel film di Jarmusch), parlano di padri alla ricerca di figli sconosciuti, alla ricerca di un vissuto nell’epoca mitica dell’American Dream, senza raggiungere però nulla, senza futuro e senza eredi, immobilizzati in un eterno presente.

Jessica Lange e Sam Shepard in ''Non bussare alla mia porta''
(Martedì 20 Dicembre 2005)
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