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![]() Un monumento all'amore per il cinema King Kong Riflessione sullo show business di Roberto Leggio Diciamolo subito il King Kong di Peter Jackson è un monumento all’amore per il cinema. Le parole non sono azzardate se calcoliamo che l’originale del film in questione è stato determinate per rendere il regista neozelandese l’uomo di punta del cinema mondiale. E’ noto che fin da bambino ha cercato (molto prima dei suoi “economici” film horror e della trilogia degli “anelli”) di portare sullo schermo la storia dello Scimmione che viene ucciso per amore. Una vera e propria devozione che adesso, in un miracoloso equilibrio tra vecchio e nuovo, riesce a rendere contemporaneo. Non si tratta di aver reso il più realistico possibile l’ultimo esemplare di una razza di scimmie gigantesche ma soprattutto per aver amplificato le metafore e tutti i sottotesti che già erano presenti nella versione di Merrian C. Cooper e Ernest B. Schoedsack. Oltre alla superba rilettura dell’attrazione fatale della bestia per la bella (qui ampiamente ricambiata) c’è soprattutto il linguaggio metacinematografico della vicenda. A cominciare dalla riuscitissima scena della bella che intrattiene con un balletto da vaudeville il “mostro” che dovrebbe ucciderla. Come è molto wellsiano il regista cinico e determinato a portare a termine il suo film andando a cercare “l’ultimo pezzo di mistero” per poi svenderlo per un biglietto d’ingresso. Si tratta senza mezzi termini di una amara riflessione ai limiti sullo spudorato business del “tutto fa spettacolo” che tanto inquina il nostro immaginario.
(Venerdì 16 Dicembre 2005) |
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