 Il "noir psicologico" anni '40 Dietro la porta chiusa Riflessioni da una terrazza romana di fronte al Colosseo
di Pino Moroni 
Dietro la porta chiusa Dietro la porta chiusa non è il miglior film di Fritz Lang, uno dei registi di origine tedesca o mittel-europea che avevano frequentato ed assorbito le lezioni dell’espressionismo tedesco ed applicato le sue regole nei film realizzati in America negli anni ’40: i famosi film noir. Genere con connotazioni precise di sceneggiatura e codici rigidi di fotografia. Curtiss Bernhardt (L’anima e il volto), Robert Siodmack (La scala a chiocciola), Billy Wilder (La fiamma del peccato), Otto Preminger (Vertigine) e lo stesso Lang (La donna del ritratto) usano nei loro film l’ambiguità psicologica che connota, all’interno del genere, un sotto-genere che subisce l’influenza della psicoanalisi, delle teorie freudiane e del nascente esistenzialismo. Ovviamente, anche il grande inglese Alfred Hitchcock, per una sua propria strada, rende grande questo sotto-genere (Il sospetto, Io ti salverò, Rebecca la prima moglie). Quasi tutto viene sognato, o raccontato in flashback, con uno stile tra espressionismo e surrealismo, usando anche come scenografi gli stessi pittori surrealisti (Salvador Dalì su tutti). Il fascino e la magia, la voce fuori campo, le atmosfere rarefatte, le ombre verticali sono le caratteristiche comuni che si ritrovano –perfettamente calibrate- in Dietro la porta chiusa, con una suggestione continua che oscilla tra l’amore e il terrore.

Dietro la porta chiusa Il patio magico del Messico, dove gli interpreti (Celia –Joan Bennett e Mark –Michael Redgrave-) si incontrano e si amano, sono purtroppo interni malamente ricostruiti e oleografici, ed anche i dialoghi sono frutto di luoghi comuni di un dopoguerra in cui gli uomini e le donne parlano di se stessi con forti accenti di retorica e di ipocrisia.
La casa di campagna, con “due soli camerieri” ed una infinità di stanze “felici” (dove sono avvenuti delitti storici), ricostruite dall’architetto Mark, è una casa troppo comune per incutere quella paura che arriva solo con notti buie e tempestose, o quando scende la nebbia. Grandi effetti –si noti comunque- della fotografia di Stanley Cortez.

Dietro la porta chiusa La stanza dalla porta chiusa non riesce a fare la parte dell’interprete principale rispetto alle altre stanze, così come gli interpreti secondari (l’amico di famiglia di Celia, la sorella e il figlio di Mark ed una segretaria sfregiata) non riescono a raggiungere i livelli di intensità dei migliori generici di Hollywood.
Ma allora, com’è questo film rivisto in un ciclo di Fritz Lang su una terrazza romana di fronte al Colosseo? Bello e da godere da parte di cinefili, come buon esempio di un “noir psicotico” degli anni ’40. Tenendo però conto che sessant’anni non sono passati invano nel lungo percorso di sviluppo del cinema, e che molte cose sono ormai inesorabilmente datate. Molte altre, invece, restano perfette in quella specifica maniera, senza che il tempo le riesca a scalfire. Al contrario di quello che gli odierni cinematografari horror realizzano con le varie “Case 1-2-ecc.” o “Ring 1-2-ecc.”, che spesso non superano i sei mesi, non i sessant’anni.

Fritz Lang negli anni '40
(Giovedì 14 Luglio 2005)
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