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 Gli ultimi giorni di Hitler La caduta Il primo film tedesco sul sanguinario dittatore
di Piero Nussio 
Berlino distrutta e affamata Si può vedere un film di due ore e mezzo odiando con forza tutti i protagonisti? Questa è la domanda che sorge prepotente assistendo alla proiezione de La caduta (Der Untergang - Hitler und das Ende des 3. Reichs, Germania, 2004), il film tedesco sugli ultimi periodi di Hitler e dei gerarchi nazisti nel bunker di Berlino. Il film è realizzato con assoluta maestria, e l’interpretazione di Bruno Ganz è tale che, per chiunque veda il film, la faccia di Adolf Hitler non potrà più essere disgiunta dai tic e dalle espressioni del grande attore tedesco. Ma anche questo è un’altro effetto collaterale non desiderato: l’ultima associazione forte fra Bruno Ganz e le sue interpretazioni era quella del cameriere impacciato che si innamorava di Licia Maglietta in Pane e tulipani. Poesia, leggerezza, e piacere del vivere.

Eva Braun (Juliane Koehler), Adolf Hitler (Bruno Ganz) e Albert Speer (Heino Ferch) Ma un attore deve poter interpretare ogni ruolo... -mi dicevo guardando il film- così come è importante che finalmente i tedeschi facciano i conti con il loro passato. Pure, la domanda iniziale si continuava a porre ad ogni scena: il cinema vive di quella specie di trasferimento psicologico che vede lo spettatore immedesimarsi nelle vicende che la pellicola narra. Come può avvenire questo se l’estraneità nei confronti delle vicende narrate è totale? È vero che spesso il cinema ha preso le parti dei “cattivi” (il gangster-cinema degli anni trenta in America o quello dei cattivi soggetti della Francia del dopoguerra), ma lo ha sempre fatto con una punta di simpatia, di umana comprensione, di partecipazione emotiva a delle “vite vendute”, alla grandezza criminale dei “piccoli cesare”.

Oliver Hirschbiegel, il regista Invece, e questo è un notevole merito che va riconosciuto al regista Oliver Hirschbiegel ed a tutta la produzione, nel film “La caduta” non c’è nessuna concessione alla simpatia o all’umana comprensione. Non c’è nemmeno, e questo è un altro notevole merito, la presa di posizione opposta, quelle che rendono odiosi i personaggi scolpendone le perversità in maniera manichea. Lo scopo del film è cronachistico: narrare la vita quotidiana di Hitler nel bunker sotterraneo negli ultimi dodici giorni che portano alla consumazione del dramma, dal 20 aprile al 2 maggio 1945, ossia dall’ultimo compleanno del dittatore alla sua morte e alla resa dei tedeschi. E sceglie di farlo adottando un punto di vista molto vicino al quotidiano: il diario della segretaria personale, indaffarata a stenografare e trascrivere i gli ultimi ordini e i “testamenti politici” del capo e dei suoi gerarchi. Certo, c’è il rischio che qualcuno apprezzi qualche “lato umano” di Eva Braun e della segretaria, quando come scolarette che marinano le lezioni vanno a fumarsi una sigaretta all’aperto. Ma non credo proprio che nessuno di quelli infatuati del mito del superuomo e della razza ariana possa apprezzare le spalle curve, il tremore alle mani, i laidi capelli scomposti dell’imbianchino austriaco Adolf Hitler, sull’orlo della catastrofe e che si preoccupa di far sparire anche le ceneri del proprio corpo.

Adolf Hitler (Bruno Ganz) Il problema oggi è un altro. Vedevo nel film gli ultimi disperati tentativi di tutti quei pazzi che avevano scatenato la distruzione del mondo, che hanno causato cinquanta milioni di morti e il genocidio completo degli ebrei, che continuavano ad uccidere e a fucilare disquisendo di onore e di tradimenti, che ritenevano giusto far morire il loro stesso popolo fra i peggiori tormenti. Pensavo a tafani chiusi in una bottiglia, che svolazzano e fanno rumore, ma ignorano che nulla li potrà togliere da quella situazione senza uscita. Eppure, mi chiedevo, la bottiglia se la sono costruita i tafani stessi, ed anche in modo efficiente. Il bunker, che di tanto in tanto viene pomposamente chiamato “la nuova Cancelleria”, è un posto che farebbe paura anche in situazioni di calma completa, con le sue pareti di cemento armato, le porte blindate, le condotte d’aria ed i generatori elettrici. Ma basta mettere negli stretti corridoi, ogni tanto, un portiere in divisa militare seduto ad un tavolino, che questo luogo d’incubo diviene un familiare regno della burocrazia, un ministero come tanti altri. E lo stesso vale per il lavoro della segretaria e di tutti gli altri. In una dichiarazione rilasciata a fine pellicola dalla vera protagonista dei fatti, questa afferma di aver saputo dello sterminio degli ebrei solo dopo la fine della guerra. Come si può crederle? Possibile che nessuna lettera o ordine del dittatore nominasse la questione, in due anni e mezzo di lavoro? Non è ovviamente possibile, ma è invece comprensibile dal punto di vista psicologico: una cosa erano le lettere battute nell’ambito di lavoro (che avevano una forma, una data, un oggetto, un protocollo e una firma. Ma non avevano un “contenuto”), una cosa era sapere cosa stesse davvero facendo e facendo fare quel pazzo. Lo stesso vale per i campi di sterminio: a parte i sadici torturatori che li gestivano, mi sono sempre chiesto chi li avesse così bene progettati e costruiti. L’ingegnere che ha disegnato le tubature del gas a Dachau, o quello che ha pensato tutti gli scambi ferroviari ad Auschwitz, così efficienti e “tedeschi”, sapevano qual’era il fine delle loro opere? Lo condividevano? Probabilmente, come nel caso della segretaria particolare nel bunker, non avevano mai collegato direttamente quello che stavano così “razionalmente” progettando con l’obiettivo finale delle loro fantastiche realizzazioni tecniche. Avevano delegato la loro coscienza al Führer. E il Führer, insieme a Goebbels, questa delega l’assume totalmente. Alle tenue proteste di chi si chiedeva, giunti oramai sul baratro, a che fine servisse far massacrare i civili tedeschi fino all’ultimo essere, rispondevano convinti: «Ci hanno dato il potere. Un potere illimitato, anche sulle loro vite, e noi ne disponiamo.» Ricordiamocelo, la prossima volta che delegheremo qualcuno. E ricordiamoglielo ben chiaro: con questo voto, con questo timido segno a matita, forse anche un po’ stortignaccolo, ti stiamo dando un potere molto limitato, nel tempo, nello spazio, nell’equilibrio con gli altri poteri, nella presunzione che tu sia una persona onesta, per il tuo faccione contrito che stiamo vedendo sui manifesti... E non perchè tu vada lì a compiere reati, ad approfittartene, ad impoverirci.

Traudl Junge, la segretaria di Hitler (Alexandra Maria Lara) Ricordiamoci anche, ed è la mia formazione scientifica che me lo fa sottolineare con forza, che troppo spesso le pazzie ciniche dei dittatori sono condite di una spolverata “scientifica”. «È nell’ordine della natura che il più debole soccomba. Le scimmie combattono e uccidono quelle delle atre tribù.» Queste ed altre sono le amenità scientifiche che Hitler afferma nel film –e nella realtà-. Non è importante qui confutarle (ma è necessario che qualcuno prima o poi lo faccia, il darwinismo e l’etologia sono scienze, e non le barzellette che divulgano i giornali, oggi come ieri), è molto più importante affermare con forza che la scienza si differenzia dalla credulità e dalla superstizione proprio perchè la dimostrazione non si può mai delegare ad altri. Ricordiamocelo: ogni volta che qualcuno ci dirà una verità “scientifica”, rispondiamogli “Non ci credo affatto. E ora, se ne sei capace, convincimi!”. Ricordiamocelo, quando qualcuno ci parlerà “delle leggi del mercato”, della “mano invisibile delle concorrenza”, dei benefici sicuri della “lotta per la sopravvivenza”, e così via. Ricordiamocene, perchè il nazismo spesso si annida dove meno ce lo aspettiamo.
Un’ultima notazione, di cui ringrazio il film che mi ha fornito l’informazione: di tutte le belve sanguinarie di cui era popolato il bunker detto anche “la tana del lupo”, gli unici a morire sono stati coloro che volontariamente si sono suicidati. Tutti gli altri gerarchi, corresponsabili dei cinquanta milioni di morti e della distruzione del mondo, sono stati liberati non più tardi di dieci-quindici anni dopo, sia che fossero caduti nelle mani dei russi o degli americani. Sono felice di stare dalla parte della civiltà e non da quella della barbarie, e sono felice che la vendetta dei vincitori sia stata così blanda. Ma a qualsiasi imbecille che venisse a dire che vuole la pena di morte per qualche reato, risponderò con forza che è immorale che qualcuno sconti una pena superiore a quella che hanno scontato per i loro crimini insuperabili i gerarchi nazisti.
Ed ora la risposta alla domanda con cui inizia questo testo. Si, si può vedere un film di due ore e mezzo odiando con forza tutti i protagonisti, perchè ogni tanto è salutare e doveroso fare questo tipo di riflessioni.
giudizio: * * * *
(Martedì 19 Aprile 2005)
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