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 La verità cruda sulla vita sentimentale e sessuale Closer Gli alieni moderni del vecchietto Nichols
di Pino Moroni 
Closer C’è voluto un regista di settantanni per dire la verità cruda sulla vita sentimentale e sessuale delle generazioni di mezzo (tra i 20 e i 40 anni). Closer vuol dire “più da vicino”, e questo è il primo enunciato che caratterizza il film di Mike Nichols, esperto uomo di cinema (Il laureato) e teatro. E “da più vicino” significa scavare a fondo situazioni alle quali finora siamo stati abituati da tanti film di Hollywood, ben fatti e ben confezionati e “politically & socially correct”. Ci si accorge subito che manca un disegno dei caratteri dei personaggi, perchè questi sono ormai al di là di schemi mentali che hanno resistito finora (voler bene, dire la verità, essere coerenti, onesti, fare sesso con piacere). Non c’è più nulla di tutto questo: Closer non è una storia di passioni, di drammi, di amori, di inganni, di abbandoni. Fastidiosi mutanti in acquari glaciali sparlano di amore, verità, sesso. Ma in fondo sono solo programmati ad esorcizzare gli stessi concetti, con cattiverie profonde, “incomprensibili” per chi ancora pensa di poter vivere come “un essere umano”. Ne esce fuori un disastro dei rapporti, un massacro dei sentimenti, una gelata invernale dell’eros,. in un pessimismo cosmico perfettamente illuminato, fotografato e montato, con qualche evanescente flashback, da un regista post-terrestre come Mike Nichols. L’essere umano antico, anche se di ceto sociale basso, usava dialoghi semplici, non acculturati, ma con concetti, valori e intelligenza, anche se convenzionale. L’essere umano post-moderno, anche se di ceto sociale medio-alto, si è impoverito nel linguaggio, usa poche banali ripetute parole, dove non ci sono più contenuti, valori, nè intelligenza, anche non convenzionale. Emblematici gli interpreti. A partire dalla più giovane, la ventenne Portman (Alice), già vista bambina in Leon, che sbarca da New York a Londra per vivere la sua feroce esperienza di iniziazione, raccontata da lei stessa con dettagli come un film registrato in cassetta, passata attraverso le camere di “spogliarello personalizzato” per chiudere con il suo ritorno a New York, non più acerba bambina anonima ma raggiante e raggelante donna vissuta. Julia Roberts (Anna), quarantenne, femminista liberticida, fotografa affermata e divorziata, e per tutto questo più rotta a tradimenti, menzogne, frustrazioni, ipocrisie. Jude Law (Dan), scrittore mancato, giornalista di necrologi, bugiardo, traditore, dissociato informatico. Clive Owen (Larry), dermatologo senza professionalità, volgare, violento e dedito alla perversione.
Tutto fuori delle convenzioni, vecchie e nuove, spietatamente futuribile, Closer relega il suo antenato Conoscenza carnale (1971) in un’epoca felice, sentimentale e favolistica, come in un album di ricordi delle passioni e sentimenti che c’erano e non ci sono più. La classe evidente dell’insieme filmico viene accompagnata, a contrasto, con il commento musicale del brano di Mozart “Così fan tutte”, ma il delicato discorso musicale sull’effimero gioco dell’amore mal si addice al geometrico gioco di massacro degli algidi alieni moderni del vecchietto vivace Mike Nichols.

Closer Piero Nussio ne parla male?
La protagonista
(Lunedì 10 Gennaio 2005)
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