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Droga in Colombia

Maria full of grace

Un film di Joshua Marston con Catalina Sandino Moreno


di Piero Nussio


Maria full of grace


Alcuni film appartengono ad un ambiente culturale e nazionale più di quanto dicano i freddi dati di produzione.
Maria full of grace ne è un esempio lampante: è un film colombiano –e giustamente è candidato per la Colombia all’Oscar- anche se si tratta in realtà di un film USA.
Agli Stati Uniti appartiene la casa di produzione HBO, il regista californiano Joshua Marston, la metà del film girata a New York e soprattutto la professionalità tecnica che si percepisce lungo tutto lo svolgimento del film.
Ma non è, e anche questo lo si capisce lungo tutto lo svolgimento del film, uno dei tanti, inutili, film fotocopia cui il cinema americano di consumo ci sta amaramente abituando.
Ed è un film visceralmente colombiano, con il problema principale della Colombia (Colombia=droga), con la partecipazione anche produttiva dei colombiani che dall’estero cercano di dare una mano al loro sfortunato paese.
Colombiano fin dal titolo (Maria piena di grazia) che, seppure in inglese, prende a prestito un verso dell’Ave Maria e si ricollega così al sofferto cattolicesimo sudamericano.
La Maria del film è piena di grazia perchè nel suo corpo trasporta gli ovuli di cocaina o perchè vi trasporta un figlio? È piena di grazia perchè si rifiuta di riprodurre le condizioni di sfruttamento operaio e femminle cui sottostanno amiche e parenti, oppure la sua “grazia” è quella di mettersi a fare –per una grossa quantità di soldi ed un’altrettanto grossa quantità di rischio- la corriera della droga fra Bogotà e New York?
Il mondo di oggi è meno facile da capire con la consueta semplificazione del bene-male (ed ecco di nuovo che Maria full of grace proprio non è un film USA). Maria è una proletaria: a dieciassette anni lavora già da tempo in fabbrica a preparare mazzi di rose (Ah, il fascino romantico del Sudamerica...), ha una specie di fidanzato che preferisce ubriacarsi con gli amici, aiuta a mantenere una sorella abbandonata con un figlio piccolo dal marito, non si trova bene né a casa né al lavoro né in famiglia.
Per di più è incinta: il fidanzato è “pronto a fare il suo dovere”. Ma lei non lo ama, lui nemmeno ed il futuro che le si prospetta è quello della sorella abbandonata.
Per di più è stata licenziata: le nausee e lo stare in piedi l’hanno portata a discutere col capetto del laboratorio dei fiori ed il carattere fumino di Maria ha fatto il resto.


Domanda. Cosa può fare una ragazza povera, incinta, senza lavoro, ma con un carattere forte e la baldanza dei dieciassett’anni? Se stai in Colombia, molto probabilmente, la “mula”, ossia la corriera di droga.
Specie se capiti nelle grinfie della mafia, in Colombia come in certe zone del nostro sud. E la mafia, come sappiamo bene in Italia, non appare al poveraccio come quell’organizzazione spietata e criminale che è.
A Maria appare nelle forme di un simpatico ragazzo che la fa ballare e la accompagna in moto. Poi nelle forme di un bravo e comprensivo signore che le dà un “lavoretto” ed alcuni soldi per tirare avanti, così, “senza impegno”. E poi della collega Lucy, anche lei corriera di droga, ma umana e sfortunata.
Il “lavoretto” significa, per l’ignara Maria, salire su un aereo imbottita di ovuli di cocaina, rischiare la vita –come succede all’amica Lucy, per la rottura di un ovulo- e con probabilità ancora più alta rischiare una lunga galera negli USA.
Perchè, a dispetto delle persuasive parole dei mafiosi colombiani, alla frontiera USA mica la bevono poi tanto facilmente che una poveraccia colombiana abbia trovato –risparmiando?- i soldi per il biglietto aereo e per pagarsi un soggiorno turistico a New York. Maria infatti viene inquisita, e se la cava dall’arresto solo per caso e per la sua sfrontatezza di ragazzina.

E quando il film passa dalla tremenda Colombia agli efficienti Stati Uniti (“dove funziona tutto” dicono nel film), il film diventa ancora di più “colombiano”.
Lì, nel melting-pot della Grande Mela, c’è la comunità colombiana del Queens e c’è Don Fernando. Questo personaggio è la “faccia buona” delle mafie, il “padrino” vero che aiuta i poveri connazionali in difficoltà a trovare un posto per dormire ed un lavoretto per sopravvivere. Don Fernando è un personaggio ispirato direttamente alla realtà, e l’interprete è preso dalla vita vera, il “padrino buono” Orlando Tobòn che svolge realmente un ruolo chiave nella comunità colombiana del Queens.
Lo slogan di Maria full of grace dice “Tratto da mille storie vere”, ed una volta tanto rispecchia la realtà dei fatti: la protagonista Maria è interpretata da Catalina Sandino Moreno, presa dalle disastrate strade della Colombia. Così come l’amica Blanca (Yenny Paola Vega). Don Ferdinando è il colombiano trapiantato Orlando Tobòn, che ha anche contribuito alla produzione del film, e ne è quindi in parte co-autore.
A proposito di essere un film veramente colombiano: hanno dovuto girarlo in Equador, perchè la Colombia era diventata troppo pericoloso per portarci una troupe cinematografica.


Il regista, invece, è californiano. È laureato in Scienze sociali all’università di Berkeley –ed ecco che si spiega un film che è anche un vero spaccato sociologico della situazione della Colombia e del traffico di droga-, ha fatto il giornalista nel Golfo –ed ecco che si spiega un film secco, asciutto e pulito-, ha fatto un Master in Scienze politiche all’università di Chicago –ed ecco come si spiega un film dove si vedono tutte le sfaccettature e tutte le angolazioni di ogni fatto-.
Joshua Marston ha realizzato molti cortometraggi e ricevuto svariati premi, ed ha fatto il Master in Regia all’università di New York. Ed ecco come si spiega che al primo lungometraggio (questo) abbia già ricevuto premi alla Berlinale, al Sundance, a Seattle ed a Deauville. Ed è in corsa per l’Oscar.

Giudizio: ****


Maria full of grace


La ragazzina
Catalina Sandino Moreno
La sfrontatezza e la grazia del terzo mondo



(Giovedì 18 Novembre 2004)


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