 Con gli occhi a mandorla La moglie dell'avvocato Estate 2004
di Oriana Maerini LA MOGLIE DELL’AVVOCATO (A GOOD LAWYER’S WIFE) di Im Sangsoo, Corea
Il cinema che spiega una società: con questo film il giovane regista sud coreano Im Sangsoo tratteggia il disegno di un’intera generazione del suo paese. Mette in scena, nella sua prima prova dietro la macchina da presa, una tragedia domestica che rispecchia la realtà della società coreana disorientata fra i vecchi valori tradizionali e i nuovi ideali di libertà. “Questa è la storia della mia vita, la storia di mia moglie, la vita della mia famiglia, dei miei amici.” – afferma il regista. In effetti i due protagonisti Hojung e Youngjak sono rappresentativi di della generazione coreana nota come “386”: gente sulla trentina, che ha iniziato il college negli anni ’80. Gli appartenenti a questa generazione hanno beneficiato di una nuova ventata di democrazia nella società coreana e dall’emergere del femminismo e sono diventati la nuova classe alto-borghese, con un benessere materiale che non era disponibile alle generazioni precedenti. Molti degli appartenenti alla generazione 386 cercano di vivere una vita piena e felice ma hanno difficoltà ad amalgamare il nuovo concetto di libertà con i loro nuovi ruoli. Il film narra la storia di Hojung, una donna sposata con un avvocato molto dedito al lavoro, di nome Youngjak. Lui è spesso fuori casa, troppo occupato a gestire il suo studio legale, ad assumersi nuovi casi, a bere e a incontrare la sua giovane amante, Yeon, ex modella. Hojung, accetta l’infedeltà di suo marito ma diventa sempre più frustrata dal punto di vista sessuale, tanto che si lascia incuriosire e affascinare da Jiwoon, il diciassettenne vicino di casa. Youngjak non è innamorato della sua giovane e sensuale amante Yeon, ma quando lei rimane incinta il suo senso di colpa lo induce a trascorrere ancora più tempo in sua compagnia. Un giorno va fuori città con Yeon e sulla strada del ritorno hanno un incidente. Da qui inizia la tragedia…
Come da molti anni a questa parte è ancora il cinema orientale che stupisce per intensità di temi e leggerezza di stile. Girato con la cinepresa a spalla, per rendere le scene più simili a quelle di un video nei piccoli spazi. Per gli spazi aperti il regista ha, invece, usato delle lenti ‘telefotografiche’ per dare la sensazione di un documentario un po’ tremolante nei campi lunghi. Poi ha mescolato i due tipi di immagini nel film. Risultato: qualcosa di molto diverso dai tipici film di Hollywood che hanno sempre immagini molto equilibrate, una buona composizione e un colore adatto. Un genere sperimentale che non può non piacere ai cinefili dal palato più fine
Giudizio: * *
(Mercoledì 1 Settembre 2004)
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